Lost River – Recensione
Basterebbe anche solo vedere il trailer di Lost River per capire come Ryan Gosling debba molto della realizzazione di questo film, alle contaminazioni prese da Nicolas Winding Refn, in primis, Derek Cianfrance e Terrence Malick poi.
Nella sua prima opera come regista, infatti, se si guarda tutto con molta attenzione, si possono trovare echi del cinema dei tre grandi cineasti che si mescolano in una pellicola confusa che mette, appunto, troppe suggestioni in un unico pentolone.
L’ambientazione è quella post apocalittica, con una famiglia alla ricerca di soldi per salvare la propria casa in un contesto altrettanto confuso che mescola, senza alcuna linearità, elementi alla Lynch tanto quanto visioni allucinate alla Harmony Korine, momenti gotici con altri che appartengono alle atmosfera del cinema indie.
Il problema principale di Lost River, però, non è solo questa incapacità di crearsi una propria identità scopiazzando dai registi che hanno fatto e stanno facendo la storia, ma è quello di creare un film inconcludente che, semplicemente, non conduce da nessuna parte. Si ha quasi l’impressione, purtroppo, che la pellicola sia creata sotto forma narcisistica, di auto compiacimento, dove tutto quello che ha colpito Gosling, cinematograficamente parlando, durante la sua vita, viene buttato dentro senza soluzione di continuità in tematiche e suggestioni, probabilmente anche con cognizione di causa, incoerenti.
Non c’è quasi tempo di essere avvolti in un’atmosfera, che Gosling ci catapulta in un’altra. Tutto è fugace, tutto è effimero. Debole di sceneggiatura quanto di struttura registica, completamente insufficiente se non lo si considera come un film-omaggio a certi registi.
Pellicola velleitaria, dove si poteva fare tanto seguendo una sola strada, quella dell’esprimere se stessi senza diventare la copia di altri mille cineasti, come ha fatto, ahimè, Ryan Gosling.
Sara Prian