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Femen – L’Ucraina non è in vendita – Recensione

Dall’Ucraina con furore e verrebbe da dire anche con… scalpore, il movimento femminista contro la società maschilista del Paese, famoso per protestare a seno scoperto, arriva infatti sugli schermi italiani, dopo essere passato anche Fuori Concorso al Festival di Venezia 2013, con un documentario che manifesta le sue origini, la quotidianità di queste donne, sempre intenzionate a valorizzare la loro figura, anche se in una maniera tutta loro, aggressiva, bizzarra, ma a sorpresa anche intimista.

Femen, il movimento femminista nato grazie ad alcune donne ucraine che si sono volute ribellare alla visione maschilista della figura femminile (le vedono come suddite e oggetto sessuale), si mettono a nudo, letteralmente e in modo figurato, davanti alla macchina da presa. Dopo la grande popolarità, Sasha, Inna, Anna, Irina, Oksana e le altre, ripensano alle scelte fatte, riflettono sugli obiettivi raggiunti e sui limiti dell’esperienza iniziale.

Il sottotitolo italiano L’Ucraina non è in vendita (quello originale era Ukraine is not a brothel), sembra quasi voler fare di tutta l’erba un fascio e raggruppare le ribellioni indipendentiste del popolo ucraino in questo periodo, con la lotta che da anni queste donne hanno intrapreso, probabilmente, nel loro piccolo e mostrandosi al mondo come mamma le ha fatte, l’idea è simile.

Ben lontani infatti, sono i tempi in cui le suffragette nei primi anni del Novecento, vestite di tutto punto marciavano in strada con gli striscioni e pretendevano l’emancipazione femminile, ora, l’epoca moderna ci restituisce questo nuovo movimento, che si sente più libero, soprattutto nel manifestarsi in pubblico in topless, una scelta che la regista Kitty Green, di origini ucraine, ha voluto spiegare proprio attraverso le loro storie e la loro vita quotidiana.

Ciò che traspare fin da subito è infatti la voglia di queste donne di ‘’confessare’’ alla macchina da presa, il perché della loro scelta, rispondo con semplicità e senza filtri alla regista, si mettono in gioco e riflettono su ciò che erano e su come sono diventate, cosa rappresentano ora.

Una visione però non solamente dal loro punto di vista, bensì anche quello delle loro famiglie, immagini che si alternano alle loro interviste anche se ciò che si delinea sono maggiormente le motivazioni e i sentimenti provati, più che divulgare informazioni più specifiche e utili allo spettatore per conoscere meglio il movimento.

Ciò che ne risulta alla fine è un documentario accattivante, ma ambiguo, che sembra essere in sospeso, contrariamente alla sua immagine (donne a torso nudo), tra il vedo e non vedo, tra idee che a volte si contraddicono e cose poco chiare, di per sé però, la pellicola, grazie anche ad un ritmo accattivante e ad una colonna sonora che mantiene viva l’attenzione, rende lo spettatore in grado di appassionarsi e riflettere.

Alice Bianco

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