Jersey Boys – Recensione
Il grande vecchio Clint è tornato. Al cinema e a uno dei suoi grandi amori, la musica.
Si, perché Eastwood ha sempre amato la musica, fin da quando nel 1982 diresse e interpretò il lungometraggio Honkytonk Man incentrato sulla storia di un musicista country e fin da quando nel 1988 con Bird tracciò un bel ritratto del sassofonista Charlie Parker. Ora l’attore-regista, vero amante del jazz, ha scelto a sorpresa di raccontare il sound di una band rock ‘n roll esplosa nei primi anni ’60, i Four Seasons, si proprio quelli del leader Frankie Valli (dall’indimenticabile falsetto), autori di successi come “Sherry”, “Big Girls Don’t Cry” o “Cant’ Take My Eyes Off You”.
La storia è quella di un gruppo di ragazzi della porta accanto e ha inizio nel 1951 in una cittadina del New Jersey quando il giovane Frankie Castelluccio (che scelse poi Valli come nome d’arte) ha solo 15 anni e fa l’aiuto barbiere. Insieme a Tommy DeVito, i due sognano di avere successo come cantanti. Mentre Frankie è figlio di una famiglia onesta di origini italiane, Tommy è un criminale da quattro soldi, dedito a furti e ricettazione. Avendo come mentore e guida il boss malavitoso Gyp DeCarlo, i due insieme al bassista Nick Massi (già amico di vecchia data e membro di una band insieme a DeVito) mettono su un gruppo che ha come punto di forza le doti vocali di Frankie. Ma manca ancora qualcosa che possa fare la differenza e che li porti a fare il salto di qualità. Finché un amico comune gli presenta Bob Gaudio, un talentuoso autore. Dopo alterne vicende, i quattro formano i Four Seasons e, con l’aiuto del produttore discografico Bob Crewe, raggiungono il successo scalando le classifiche. Ma le difficoltà non tardano ad arrivare, soprattutto quando la gestione finanziaria di Tommy, ancora legato ad attività criminali, fa naufragare il gruppo in un mare di debiti.
A 84 anni suonati e alla sua trentatreesima regia di un lungometraggio (senza contare episodi come Piano Blues inserito nel progetto collettivo The Blues voluto da Martin Scorsese), Clint sceglie la musica dei Four Seasons già portata alla ribalta da un musical di successo a Broadway che vanta otto anni di repliche (gli autori Marshall Brickman e Rick Elice sono gli stessi sceneggiatori del film).
Ancora una volta un ritratto di musicisti, ancora un racconto classico, ancora una parabola di vita. La sensazione che non abbandona mai per tutta la durata del film è la straordinaria abilità del regista di far procedere di pari passo musica e vita, ponendo se stesso un passo indietro rispetto alla musica, alle sue suggestioni, al suo potere di restituire l’anima più profonda della storia raccontata.
Un gruppo di ragazzi a rischio criminalità e la loro tenacia nell’inseguire il loro sogno in un percorso accidentato in un mondo come quello dello show business a cavallo tra gli anni ’50 e ’60: è questa la storia che Eastwood dipinge con ferma mano di regista. Eroi di provincia, figli di quel New Jersey perfettamente ricostruito e fotografato (impeccabile la fotografia di Tom Stern), simboli di un successo che può rivelarsi sfavillante ma che non ti perdona se perdi la tua purezza, i quattro personaggi riescono a trascinare emotivamente la storia, offrendo ognuno il proprio punto di vista rivolgendosi a turno direttamente allo spettatore e parlando dritti alla macchina da presa.
Altro grande merito del regista è l’aver trasformato e arricchito di intensità drammatica un musical, senza tuttavia snaturarne l’essenza, lo spirito, il messaggio di fondo. Mantenendo un equilibrio perfetto tra momenti leggeri (non mancano battute che strappano il sorriso) e momenti malinconici quando non apertamente drammatici, il film arriva al gran finale con un’impennata musicale davvero riuscita. L’esecuzione del celebre brano “Cant’ Take My Eyes Off You” da parte di un Valli ormai maturo solista, provato da tristi vicende familiari e professionali, commuove e coinvolge allo stesso tempo (e magari fa battere il piedino sul pavimento).
“Quando tutto scompariva e tutto quello che restava era la musica, quello è stato il massimo”, dirà uno dei protagonisti.
Sul fronte degli interpreti, quasi tutti professionisti del musical e praticamente esordienti sul grande schermo, una nota di merito va al protagonista John Lloyd Young (che ha interpretato il ruolo di Valli per diversi anni nel musical di Broadway e che ha anche cantato le canzoni principali che hanno fatto vincere un Grammy all’album tratto dallo spettacolo) che offre il suo cristallino talento vocale ad impreziosire i momenti musicali, seguito a ruota da Vincent Piazza (l’unico senza esperienza del musical alle spalle, noto al grande pubblico per il ruolo del gangster Lucky Luciano nella serie televisiva Boardwalk Empire). Menzione a parte per un carismatico Christopher Walken nei panni del boss mafioso ma dal cuore tenero e dal fine umorismo Gyp DeCarlo.
Un film asciutto (nonostante la musica), essenziale (nonostante la durata di 134 minuti), per certi versi commovente ma al tempo stesso divertente, percorso da una corrente sotterranea che sprizza vitalità da ogni fotogramma, da ogni singola nota musicale.
Ancora una volta Eastwood rifugge da facili etichette (impossibile incasellare la sua filmografia così variegata in semplici categorie o generi) mostrando che il fuoco della passione che muove la mano di un artista è la cosa più importante. E lo fa dimostrando nuovamente la sua straordinaria abilità nel fare la cosa apparentemente più facile (ma allo stesso tempo più difficile) che si richiede a un grande regista: raccontare storie.
Ti auguriamo ancora lunga vita, grande vecchio Clint.
Elena Bartoni