Paranormal Stories – Recensione
Pellicola omaggio al grande cinema horror americano questo Paranormal Stories che mette insieme 6 registi per diversi racconti che celebrano e citano il genere cinematografico d’oltre oceano, non dimenticando però la loro identità. I sei giovani cineasti, infatti, con un occhio all’America, raccontano la nostra Italia.
Uno scrittore sadico che lascia in eredità al figlio i suoi temibili segreti, un ragazzo incontra in chat il fantasma dell’amico morto suicida poco prima, una medium deve fare i conti con gli spiriti che ha evocato durante le sue truffe, un ragazzo allontanato dai coetanei diventa l’eroe di paese, tre ragazze scampate da un incidente stradale si trovano alle calcagna la loro vittima.
Che Paranormal Stories sia un omaggio lo si capisce fin dalle prime inquadrature quando un carrello lento all’interno di una camera da letto, inquadra una serie di icone del cinema horror (o giù di lì) americano: da Saw a Psycho, passando per i Ghostbusters.
Questa è la cornice con la quale viene presentata l’opera prodotta da Gabriele Albanesi e che ci introduce ad una struttura composta da cinque episodi (6 se contiamo prologo-epilogo) dove i giovani registi (sono tutti di classe tra l’81 e l’83) dimostrano talento e coraggio, anche se non tutto funziona come dovrebbe.
L’horror vero e proprio in Paranormal Stories si presenta sottoforma di paure e fobie, di psicosi mentali e reali che riescono ad attecchire meglio su uno spettatore che potrebbe, in alcune, anche rivedersi e subire di più l’effetto pauroso della pellicola.
Se l’intuizione intelligente, come detto, è quella di ancorare le storie alla realtà italiana (sbando generazionale, piuttosto che le discussioni sul calcio) a questa non viene data la giusta importanza e il giusto spazio.
La sensazione che si ha, infatti, è che i registi, dimostrando talento sia chiaro, si siano focalizzati troppo sulla messa in scena e sulla ricercatezza estetica, dimostrando debolezza e mancanza di coesione dal punto di vista narrativo.
Il talento dei sei cineasti però si vede e l’esperienza, siamo certi, permetterà a loro di crescere, distaccandosi dai quei tòpoi cinematografici che in questa opera l’ingabbiano.
Sara Prian