22 Jump Street – Recensione
Agenti Schmidt e Jenko, nuova missione. Si, sono ancora loro, i due agenti pasticcioni di 21 Jump Street (film a sua volta ispirato all’omonima serie televisiva di successo degli anni ’80) che questa volta si spostano di numero civico.
Squadra che vince non si cambia dunque, e dopo il successo di due anni fa, ecco tornare il team al completo (e le premesse di sbancare il box office ci sono tutte, visto che questo secondo capitolo ha già incassato finora circa 70 milioni più del primo). Le due star Jonah Hill e Channing Tatum sono ancora dirette dal duo di registi che trasforma in oro tutto ciò che tocca, Phil Lord e Christopher Miller (che, dopo il successo di Piovono polpette del 2009, pochi mesi fa hanno stupito con un altro cartoon, The Lego Movie).
I due agenti a caccia di trafficanti di droga dopo essersi intrufolati in un liceo nel primo episodio, ora si ritrovano sotto copertura in un college. Sono sulle tracce di una nuova droga, la Wy Phy, che ha già provocato la morte di una ragazza. E’ necessario scoprire chi la spaccia e risalire al fornitore dello spacciatore. E mentre Jenko trova la sua strada (e un nuovo inseparabile amico) nella squadra di football, Schmidt viene attratto dalla scena artistica bohemien e flirta con una bella studentessa di arte (che poi si scoprirà avere un padre… importante). Trovandosi a percorre strade diverse, i due iniziano ad avere dubbi sulla loro collaborazione: devono capire se sono capaci di avere una relazione più matura.
Comicità demenziale a tutto gas, frullato di generi (buddy movie, commedia politicamente scorretta, poliziesco) condita da una sorprendente deriva “bromance” tra i due protagonisti, 22 Jump Street fa esattamente “copia e incolla” dello schema del primo film.
Il merito principale dei due registi è giocare a carte scoperte, parodiando a viso aperto le regole di ogni sequel che si rispetti. Insomma autoironia a piene mani è la strada percorsa dai due autori che in primis giocano divertiti con quella speciale forma di “intimità omosociale” che si sviluppa tra i due protagonisti e che trova il suo apice nel pirotecnico finale ambientato nel folle caos dell’annuale Spring Break nell’esotica cornice di Puerto Mexico. E qui si spinge il pedale dell’acceleratore, con una coloratissima presa in giro degli action movie più adrenalinici a colpi di un umorismo a tratti davvero dissacrante (in cui è compresa una vera e propria operazione di demolizione della gag omofoba).
E allora via alle citazioni: da Miami Vice ai vari American Pie, da Una pallottola spuntata fino a una spruzzata di True Lies e a una parodia di Spring Breakers.
I due protagonisti, il ‘faccione’ Hill e il prestante Tatum, reggono benissimo il ritmo, dimostrando capacità di passare dall’alto di citazioni cinematografiche importanti, al basso di volgarità lontane anni luce dal polically correct di tante commediole. Accanto a loro, un Ice Cube nel ruolo del Capitano Dickson, ancora più in forma rispetto al primo film (che questa volta avrà un motivo in più per sfogare la sua rabbia con i due imbranati agenti) e un Peter Stormare versione mafioso russo con tanto di zainetto rosa sulle spalle. Sul fronte femminile, da tenere d’occhio la studentessa “biondina” Mercedes interpretata da una sbalorditiva (vedrete perché) Jillian Bell.
Titoli di coda sorprendenti (consigliamo di non perderli) con una galleria di (im)probabili e infiniti potenziali capitoli successivi. Perché la vera formula di un franchise è così, non sai mai quanti sequel verranno.
Elena Bartoni