La rançon de la gloire – Recensione
Terza volta in concorso per Xavier Beauvois che questa volta porta a Venezia una commedia agrodolce, dalle tinte drammatiche, come La rançon de la gloire che, nonostante sia ambientata nel 1977, ci accompagna nell’attualità della crisi, raccontata però, da un punto di vista un po’ particolare.
Eddy (Benoît Poelvoorde), infatti, è un ex galeotto che viene accolto in casa dal suo amico Osman (Roschdy Zem) con il quale stringe un patto: Eddy potrà vivere nel suo capanno se si prenderà cura della figlia di 7 anni di Osman, Samira. Quando però le restrizioni economiche si fanno sentire, un’idea balza nella mente di Eddy dopo aver sentito della morte di Charlie Chaplin: rubare il corpo del defunto attore per chiederne un riscatto alla famiglia.
Tratto da un fatto realmente accaduto, il film di Beauvois è una storia che di per sé non pone davanti agli occhi dello spettatore nulla di nuovo (alcuni anni fa ad essere rubata è stata la bara di Mike Buongiorno), la sua originalità però, è data dallo stile della narrazione e dalla particolare personalità dei due protagonisti.
La difficile situazione lavorativa e privata del triste e depresso Osman si intreccia infatti con quella dell’euforico amico Eddy, appena uscito di prigione, il primo aiuterà il secondo offrendogli una “casa”e i suoi oggetti e libri a lui tanto cari, Eddy invece, si arrangera` come può, dando una mano in casa ed occupandosi della figlia di lui, finché non balenera` l’idea di quell’incredibile furto.
La seconda parte del film, quella in cui il piano dei due amici viene attuato, risulta infatti essere la migliore. Poelvoorde è la vera figura comica del film, un moderno Chaplin, che, vedendo da alcuni stralci di cortometraggi del repertorio del compianto attore delle comiche americane, attraverso le scene di mimo mute, cerca di imitare come meglio può.
La verve però è quella che manca al duo, che avrebbe dovuto essere comico. Sebbene infatti Poelvoorde sia un discreto attore versatile e adatto a questi ruoli, altrettanto non si può dire della sua spalla destra, un Zern malinconico e ridotto a mera macchietta.
Nonostante tutti i suoi sforzi quindi, con una colonna sonora che più che accompagnare lo spettatore lo stordisce, con un montaggio che alla fine risulta caotico e una narrazione e tema che di per sé prende spunto solamente da ciò che Chaplin rappresentava, simbolo della povertà, dell’umiliazione, delle difficili condizioni di lavoro e della differenza tra ceti sociali, la pellicola è facilmente prevedibile.
Peccando di poca originalità, sviluppandosi troppo tardi ed offrendo musiche che più volte si sostituiscono alla narrazione, non riuscendo però ad attrarre come i film muti, La rancon de la glorie, più che stupire delude, troppo ancorato alla realtà e cadendo precipitosamente, in bilico tra comicità, neorealismo e melodramma.
Alice Bianco