Il Giovane Favoloso – Recensione
Dopo Noi credevamo (2011), Mario Martone ritorna al Festival del Cinema di Venezia con una pellicola ancora una volta dedicata alla storia, ma questa volta soprattutto alla cultura, ponendo al centro della vicenda il poeta italiano più famoso di sempre: Giacomo Leopardi. Il gobbo letterato anticonformista, interpretato da un superbo Elio Germano in odore di Coppa Volpi, in conflitto con se stesso e con il mondo circostante, tra storie d’amore sfociate in triangoli, poesie ed avventure, sullo sfondo di un’Italia che sta cambiando (quella di allora e quella di oggi) e di una personalità in bilico come quella di Leopardi, fra introversione ed ironia, tra tristezza e vitalità.
Leopardi è un bambino prodigio, che cresce sotto lo sguardo implacabile del padre, in una casa che è una biblioteca. La mente di Giacomo spazia, ma la casa è una prigione: legge di tutto, ma è rinchiuso in quel suo universo. In Europa il mondo cambia, scoppiano le rivoluzioni e Giacomo cerca disperatamente contatti con l’esterno: a 24 anni lascia finalmente Recanati, l’alta società Italiana gli apre le porte ma egli non riesce ad adattarsi.
Costruita attorno alle sue più famose ed emozionanti poesie, declamate dallo stesso Leopardi non come se si stesse recitando, ma come se uscissero spontanee, come uno sfogo, come se, per descrivere quel dato momento, non ci fossero altre parole se non quelle in versi, Il giovane favoloso, è un film emozionante e realizzato in maniera superba, quasi vicino alla perfezione stilistica.
Seppure Martone non eviti di essere didascalico, grazie alla linearità dell’opera e all’estrema attenzione ai dettagli sia della vita che delle opere, riesce però a fare anche qualcosa in più; a raccontarci un uomo che, nonostante venga etichettato con il termine pessimista, ha una fame di vita, di scoprire, di meravigliarsi di fronte alle bellezze che il mondo ci offre, sia che esse siano in forma umana che, soprattutto, naturale come la luna o la miracolosa ginestra che cresce sul pendii del vulcano appena eruttato.
Il giovane favoloso alterna registri differenti, portandoci davanti alcune scene che sembrano appartenere al rigido mondo, ma affascinante, del teatro, ad altre virtuosistiche e brillanti puramente cinematografiche, coadiuvate da una scelta funzionale quanto particolare della colonna sonora, costituita anche da canzoni della nostra epoca.
Questo sottolinea come la storia ottocentesca di Leopardi sia universale e possa parlare non solo di quel tempo, ma anche di ora, a tutti quei ragazzi che hanno bisogno di esprimersi, che si sentono soffocati dalla vita e trovano respiro solo nell’arte, qualsiasi essa sia.
La gigante interpretazione di Elio Germano è fatta d’inchiostro, vive sulla cellulosa e sulla celluoide, è emozionante e fragile, ed è perfetta sotto moltissimi punti di vista. Se al film gli si può imputare di essere molto controllato, Germano, al contrario, fa un’interpretazione di pancia, che lo cala completamente nel ruolo facendolo sparire sotto i panni di un Leopardi a tratti inedito.
Con discrezione, Martone racconta anche la sessualità ambigua del poeta, insinuando, senza dire, nel rapporto tra lui e Ranieri, lasciando lo spettatore ad interrogarsi.
Certo, probabilmente, avremmo preferito vedere un film più poetico e leggermente meno didascalico, ma Il giovane favoloso è una grandissima opera, che colpisce per la sua maestosa, ma anche, a volte quando vuole mettere al centro solo l’attore e le sue emozioni, minimal messa in scena ed una interpretazione di Germano che farà incetta di premi.
Sara Prian