Un Piccione Seduto Su Un Ramo Riflette Sull’Esistenza – Recensione
Torna dopo 7 anni di assenza dalle scene e da quel piccolo capolavoro che fu Songs from the Second Floor, Roy Andersson che con il suo A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence, in Concorso al Festival di Venezia, conclude quella che molti chiamano la trilogia dell’assurdo e altri dell’esistenza, ma che, in ogni caso, conferma le sue inquadrature fisse in un film a tableaux vivants, dove le profondità di campo non sono meno importanti di quello che accade in primo piano.
Due venditori di denti da vampiro e maschere grottesche da carnevale, guidano lo spettatore in un viaggio nell’esistenza, tra 39 assurdi quadri/piani sequenza, che mostrano con la giusta dose di tragicomicita’, la morte, la miseria e le sciocchezze della quotidianità umana, il tutto in un tono filosofeggiante.
Andersson ancora una volta porta lo spettatore a riflettere sulla caducità della vita dell’uomo, ma questa volta fa un passo in più, forse più lungo della gamba o forse no, decidendo di partire (quasi) dalla storia passata fino ad arrivare ai giorni nostri, mostrando tutte le esistenze, in particolare quelle di un venditore e un ritardato mentale che intraprendono un viaggio, attraverso lo sguardo di un piccione, testimone di incontri inaspettati, dove a fare da fil rouge è l’eterna differenza fra ricchi e poveri e tra buonumore e tentativi di suicidio, il tutto immerso in un’esistenziale malinconia.
I due protagonisti, tratto d’unione fra i 39 quadri umani, sembrano quasi cercare di portare un briciolo di vitalità e felicità vendendo quei divertenti oggetti di trasformazione utilizzati maggiormente a carnevale, altre persone nella pellicola ripetendo la frase “sono contento che le cose vadano bene”, si prefiggono lo stesso scopo, ma la verità è che ciò che traspare fin dal primo capitolo della trilogia, è un pessimismo e negativismo collettivo.
A dominare la scena, oltre che ai due protagonisti e al resto del cast, colorati di bianco in volto, anche le ambientazioni (luoghi chiusi o all’aperto) sono particolari, dominate dal giallo, dal marrone e dal grigio ed è proprio all’interno di esse che i personaggi sembrano transitare, in cerca di una felicità che non riescono però a raggiungere.
La serenità è quasi come fosse qualcosa di negato per coloro che “abitano” nei tableau vivants di Andersson, eccetto forse per una delle coppie del film (giovani), gli unici personaggi a trovare un isola felice nel tratto di spiaggia in cui si sono appartati.
Ad aggiungere quel qualcosa in più al terzo capitolo della trilogia, sono senza dubbio le tre spettacolari scene riguardanti il passato e la storia dell’uomo, abbellite anche dall’uso di effetti speciali, che però parlano in essenziale di guerra, violenza e differenza fra ricchi e poveri (anch’essi giovani).
Tra il tipico nonsense scandinavo e la tragicomicita’ delle slapstick americane, A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence, è una pellicola che senza dubbio riesce a stupire lo spettatore, lo sorprende e lo immerge in maniera comica e non, tra filosofia e ragionamenti, creando però uno schema fin troppo ripetitivo, che a lungo andare stanca, finendo per convincere solo i più coraggiosi e pazienti.
Alice Bianco