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3 Days to kill – Recensione

Kevin Costner mantiene il suo fascino western e da “guardia del corpo” nel nuovo spy-thriller 3 Days to kill, nei panni del protagonista Ethan Runner, agente dei servizi segreti che, dopo aver scoperto di aver una malattia terminale, decide di lasciare il suo lavoro per recuperare il rapporto con la moglie e la figlia. Quando l’Intelligence lo richiama per un’ultima missione, Ethan accetta per ottenere in cambio una cura sperimentale che possa allungargli la vita.

Il regista McG (Charlie’s Angels, We are Marshall, Terminator Salvation) cerca di distaccarsi dal suo stile molto “americano” ambientando il suo nuovo film a Parigi. Il risultato è una fallimentare “americanata a Parigi”, un calderone in cui vengono versati diversi ingredienti: noir, azione, melodramma familiare e ironia, per tentare di realizzare un film che colpisca e coinvolga lo spettatore.

La pellicola, tra i cui sceneggiatori troviamo Luc Besson, si articola in scene d’azione dinamiche e dal ritmo veloce alle quali si cerca di non far mancare il lato sentimentale della vicenda. I tentativi del protagonista di recuperare il rapporto con la figlia risultano, infatti, espedienti poco convincenti per dare spessore al film. Se poi ci troviamo di fronte a scene in cui la ragazza frequenta discoteche ma, alla sua età, non sa ancora andare in bicicletta, emerge tutta l’assurdità della storia.
 
Il film risulta, pertanto, poco riuscito strappando una risata qua e là nelle scene ironiche alternate all’azione della rischiosa missione segreta.

Unico punto di forza del film è Kevin Costner che, a quasi sessant’ anni, si cimenta in più performance all’interno della stessa pellicola: da killer spietato a padre in redenzione che cucina e dà consigli alla figlia, prestando il suo volto non solo all’action movie ma anche alla comicità.
Nonostante la piccola in sé non sia poi così ammirevole, fa sempre piacere al pubblico, affezionato ad un’icona del cinema internazionale, vedere Kevin Costner in vicende che fanno tornare alla mente le celebri performance del passato, un esempio: quando il protagonista decide di abbandonare le sue vesti in stile cowboy per un elegante abito scuro appropriato al suo lavoro, la scena non può far altro che suscitare nello spettatore reminiscenze di Guardia del corpo. È così: molti attori, attempati, continuano a suscitare emozioni grazie a ciò che evocano dalla loro carriera passata. Ma è proprio qui che vogliamo continuare a vederli: al cinema, sul grande schermo, da dove sono stati in grado di trasmettere quelle indimenticabili emozioni, nella speranza che non terminino la loro illustre carriera in spot pubblicitari, che non sono alla loro altezza.

Elisa Cuozzo          
 

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