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A testa alta – Recensione

Impossibile vedendo le scene di questo ragazzino che osserva senza battere ciglio le urla e gli oggetti che volano e che dichiara che lui da grande sarà un delinquente, non pensare al “Mommy” di Xavier Dolan. La premessa, infatti, è simile, ma “A Testa Alta” di Bercot differisce per l’impostazione, più fredda, distaccata e meno partecipata.

Abbandonato durante l’infanzia dalla madre, dai 6 ai 15 anni Malony entra ed esce dal carcere minorile, collezionando una nutrita lista di reati. Il ragazzo viene notato da Florence, magistrato in pensione, e da suo marito Yann, insegnante che ha avuto a sua volta un’infanzia difficile. I due adottano Malony e cercano di salvarlo dalla vita criminale a cui sembra destinato. Il ragazzo viene inviato in un rigoroso centro educativo, in cui conosce Tess, ragazza con cui subito inizia un rapporto speciale.

Malony è un ragazzino complicato, che nessuno sa come prendere, ma la regista non riesce ad entrare in maniera completa nel malessere del ragazzo che arriva allo spettatore, ma non come dovrebbe. Il suo avercela con il mondo non riesce a trasmettere empatia perché la Bercot prende la decisione di rendere “A testa alta” un film corale, che non si sofferma troppo sul singolo, ma prova a dare una visione completa di varie persone costrette a subire una transazione, una penitenza su questa terra. Tutto questo per far intendere che la sofferenza non è solo del ragazzino, ma è anche di sua madre che non riesce ad occuparsi dei figli, del giudice minorile che ha sulla coscienza il destino dei ragazzi e via discorrendo.

Un discorso ovvio, che avrebbe colpito sicuramente di più se Bercot avesse deciso di seguire la strada di uno di loro in particolare, soffermandosi sulla sua sofferenza e permettendo così allo spettatore di legarsi ai problemi di questo personaggio. Allo stesso tempo però “A testa alta” non perde di vista il fatto di nascere come film sulla crescita e quindi poi si ritrova ad insistere su un periodo fondamentale della vita di Malony.

Si ha quindi la sensazione di essere davanti ad un minestrone in cui la regista non ha chiaro che direzione prendere, se non quella verso un messaggio fin troppo positivo per il tenore del film. Questo però non toglie che la pellicola ha dei momenti davvero ben riusciti, tesi e potenti che fanno sorvolare in buona parte questi errori di impostazione narrativa, in un film che si lascia guardare, emozionando qua e là, ma senza continuità.

Sara Prian

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