Acqua fuori dal ring – Recensione
Prospettive Italia – In Concorso.
Un doppio binario, passato e presente, l’antichità e l’oggi, la storia che si ripete, come un ciclo che ritorna, nel percorso parallelo delle vite difficili di due pugili.
Toscano, un giovane pugile siciliano, ha avuto un incidente a un piede e vive nel difficile quartiere catanese di Librino. Qui cerca di sopravvivere con la sola forza che si ritrova, quella dei pugni. Barca è un immigrato africano arrivato in Sicilia, come tanti, con la speranza di un futuro migliore ma deve affrontare le dure limitazioni imposte dal suo stato di clandestinità. Entrambi lottano per difendere le loro compagne, due donne in attesa di un figlio che lottano per i loro sogni.
Opera seconda (dopo Profumo di Lumia) del giovane regista italo-americano Joel Stangle, Acqua fuori dal ring è un film duro sullo scontro di culture ed etnie drammaticamente irrisolto nel nostro Paese, esemplificate attraverso due storie parallele di forte disagio che non si incrociano mai.
Il regista ha ammesso di aver lavorato con le “conquiste storiche” ed il “movimento di persone tra l’Africa e la Sicilia” evocando a più riprese il testo dell’antico storico Polibio in cui Cartagine e Roma sono descritte come due pugili che si incontrano su un ring. L’epoca della prima guerra punica del 264 a.C. viene collegata alle lotte che nel presente devono affrontare i due protagonisti del film. Duemila anni fa l’africano Amilcare Barca arrivò in Sicilia per lottare contro l’Impero romano: con evidente ricorso storico, oggi migliaia di persone arrivano sull’isola per combattere per una vita migliore. E appunto l’isola conquista il suo ruolo cruciale diventando un ring su cui lottare (reale e metaforico), un ring circondato da acqua, da cui il titolo del film. In mezzo all’acqua, il regista pone l’interrogativo cruciale: chi nuoterà e si salverà? Chi affonderà? Stangle ha ammesso che il suo film parla di “persone e società bloccati in un ciclo”. E il film non dà risposte per i personaggi, né per uno dei circoli viziosi nei quali la società li chiude. Il regista registra i fatti e solleva domande.
Il finale del film sposta volutamente (Stangle ha ammesso di aver fatto un importante cambiamento rispetto al copione) l’attenzione dai due uomini alle loro compagne, alle due donne che nei momenti più difficili delle loro vite “non possono avere la forza di nuotare controcorrente ma imparano a respirare sott’acqua”.
Girato nel quartiere Librino di Catania, dominato da strutture di cemento massicce e incombenti, nel grigiore dell’inverno, il film gioca sulla corrispondenza tra le difficoltà dei protagonisti e la durezza dell’ambiente con potenti contrasti visivi. La colonna sonora originale è composta da musica tradizionale siciliana che cattura i suoni dei popoli e delle diverse culture che hanno messo piede in Sicilia. La colonna sonora include anche uno stile di canzone tradizionale siciliana chiamata “Spartenza”, un canto dai suoni potenti e agghiaccianti che riflette il duro lottare dei personaggi.
Merito del regista è di sapersi immergere nel tessuto multietnico del nostro Paese e di saper lavorare abilmente con tanto materiale: colori, rumori, suoni, lingue differenti.
Adottando uno sguardo non diretto ma “filtrato” dalla storia passata e dal mito, Stangle mette su una potente costruzione drammaturgica ma quello che manca al suo film è il calore, una molla che faccia scattare la partecipazione emotiva dello spettatore, risolvendosi in un esercizio di grammatica cinematografica un po’ troppo stilizzata che non arriva come dovrebbe.
Elena Bartoni