Act of Valor – Recensione
Lo Zio Sam ci prova sempre. Ci aveva provato con le sigarette e la cioccolata, coi manifesti, con radio e cine giornali, con i giocattoli e naturalmente anche col cinema. Se frotte di liceali erano accorsi ad arruolarsi nell’’86, esaltati dalla visione di “Top Gun”, film sponsorizzato e finanziato dallo stesso Dipartimento della Difesa americano, e non avevano dovuto faticar neanche troppo in lungaggini e burocrazia visto che con grande “lungimiranza” la Marina degli Stati Uniti aveva provveduto ad istallare degli uffici mobili di reclutamento nelle vicinanze dei maggiori cinema delle grande città, contribuendo così al più alto numero di matricole mai registrato dopo l’attacco a Pearl Harbor, dio solo sa con questo film quali grandi risultati ci si debba aspettare in fatto di guerra al terrorismo.
Prodotto dalla Bandito Brothers di Mike “Mouse” McCoy e Scott Waugh, che firmano peraltro anche la regia, “Act of Valor” si segnala soprattutto per tecniche di produzione certamente non convenzionali. Il film ha infatti per protagonisti un gruppo di autentici effettivi delle forze speciali della Marina Militare statunitense ed attraverso l’utilizzo di altrettanto reali munizioni ed esplosivi porta sul grande schermo la cronaca romanzata di un ‘autentica operazione portata a termine dalle United States Navy Sea Air & Land forces (SEAL) riproducendo minuziosamente tecniche e manovre.
Dopo l’attentato all’ambasciata americana nelle Filippine ad opera del terrorista Ceceno Abu Shabal (Jason Cottle) un team d’elite dei Navy SEAL viene paracadutato nella giungla del Costa Rica con la missione di recuperare l’agente Morales (Roselyn Sanchez) sequestrata dagli uomini del più pericoloso narcotrafficante in circolazione: Christo. Non quello dai, questo è ucraino, si chiama Mikhail Troykovich e proprio con Abu Shabal è in affari.
La storia si trasforma così in un’operazione intorno al mondo per fermare un gruppo di estremisti islamici intenzionati ad infiltrarsi negli Stati Uniti ed attuare una serie di devastanti attacchi nelle città più popolate d’America. Seguendo uno schema piuttosto rigido in cui azione e inerzia si alternano vicendevolmente, una trama semplice, piuttosto deludente, poco ispirata e per nulla originale finisce ad essere il collante che tiene insieme una serie di sparatorie realizzate alla perfezione in cui i registi mescolano aderenza alla realtà e gusto per i video game.
Che il maggior pregio del film sia la sua autenticità e che non siano casuali i ringraziamenti iniziali alla Electronic Arts e a Game Stop lo si capisce presto, eppure questo stesso elemento diventa forse il più grande difetto di “Act of Valor”. I soldati che hanno prestato i loro volti, la loro esperienza e le loro performance non sono certo attori e, per nulla aiutati dalla sceneggiatura, non riescono a portare alcun peso emotivo alla storia, tanto che se non c’è azione si finisce con l’annoiarsi e non si vede l’ora che arrivi il prossimo combattimento proprio come in un videogioco.
Nella ricerca di una totale aderenza alla realtà “Act of Valor” sconta così un difetto di approfondimento, nei caratteri dei personaggi, appena abbozzati, nelle loro relazioni, assenti se si eccettuano quelle tra i due protagonisti principali, tanto da far sembrare comparse i loro compagni, e nelle motivazioni degli antagonisti che non siano un generico “l’America è il Diavolo”.
In un mix di apologia e retorica, il film, manicheo fino all’ultimo, finisce col non offrire uno spunto di approfondimento neanche al pubblico, i videogiocatori più incalliti finiranno con l’identificarsi, grazie anche alla regia in soggettiva, nei protagonisti ma in pochi usciranno dalla sala pensando che in fondo qualcuno c’ha rimesso davvero la pelle per la lotta al terrorismo.
Daniele Finocchi