ADHD – Rush Hour – Recensione
Che dei bambini non riescano a stare mai fermi, che non ascoltino quello che gli diciamo e si perdano in un mondo tutto loro a noi sembra, in qualche modo, normale. Invece, così potrebbe anche non essere e al piccolo potrebbe essere diagnosticata l’ ADHD, Deficit dell’attenzione e Iperattività. Una ‘malattia’ che veramente una malattia non è, ma che condiziona milioni di famiglie e di bambini in tutto il mondo.
Il documentario di Stella Savino ADHD Rush Hour, ci porta ad esplorare proprio questo mondo nella sottile linea che separa il comportamento normale di un bambino a quello a cui viene diagnosticata la ADHD.
Una riflessione anche e soprattutto sui farmaci su quanto sia giusto o meno, nel caso di una diagnosi affrettata, somministrare anche in maniera preventiva ai piccoli dei farmaci che, in qualche modo, li frenano, li rendono più calmi.
Questo tipo di diagnosi frettolose, sovrastimate, e l’eccessivo uso di farmaci in età infantile, purtroppo, in America può capitare che diventi all’ordine del giorno, dando al bambino i farmaci e eliminando, di fatto, i problemi di comportamento scolastici che rendono il piccolo incontenibile per gli insegnanti o chi per loro.
Tutto questo viene sviluppato dalla Savino in maniera molto intelligente, anche se forse un po’ troppo didascalica in alcuni punti, decidendo di dar voce diretta ai protagonisti, a chi questa malattia la vive ogni giorno sulla propria pelle attraverso i figli. Ci sono esperti, studiosi, medici, ma la voce dei genitori e gli sguardi dei piccoli sono quelli che toccano di più e risultano, in qualche modo, le voci più vere ed emozionanti.
In particolare è la mamma del piccolo Zach a toccare le nostre corde più intime, regalandoci momenti di estrema commozione ad altri di grandissima forza. Un coraggio che si esprime nel momento in cui, per vari motivi, sono costretti a dare i medicinali a Zach per calmarlo e permettergli di vivere una vita serena a scuola.
Non solo gli States, però. La regista napoletana ci racconta la storia anche di Armando, 19enne di Roma, che si trova sotto i farmaci da quando aveva 10 anni. La sua storia finisce per colpire da un’altro punto di vista, essendo egli perfettamente consapevole di come la sua personalità e i suoi comportamenti cambiano se assume o meno il farmaco.
Savino ha la brillante idea di prendere come punti fermi del suo documentario tre età differenti e se Zach rappresenta l’infanzia, Armando l’adolescenza ecco che Lindsay rappresenta l’età adulta. Una donna a cui la malattia è stata diagnostica che era già grande e che a causa proprio del ADHD finisce per perdere troppe volte il lavoro, così da faticare a pagare le spese per i medicinali.
Voci, volti, occhi, sensazioni ed emozioni che grazie ad ADHD Rush Hour portano lo spettatore a conoscere una realtà nascosta, forse a tratti spesso sottovalutata, ma che esiste e colpisce più persone di quelle che pensiamo.
Sara Prian