Adieu au langage (Goodbye to Language) – Recensione
Il fondatore della Nouvelle Vague francese, Jean-Luc Godard alla veneranda età di 83 anni presenta in Concorso al Festival di Cannes, un film che analizza con metafore e avvalendosi quasi completamente dell’aspetto visivo, le difficoltà di comunicazione tra un uomo e una donna, della vita, della morte e degli affetti, il tutto con l’uso del 3D (l’aveva già fatto con il film The Three Disasters).
Una donna sposata e un uomo single si incontrano, Si amano, litigano. Un cane passeggia tra la città e la campagna, le stagioni passano. L’uomo e la donna si rincontrano, il cane si mette in mezzo fra loro. Il marito di lei chiude la loro relazione. Nella seconda parte del film, ciò che appare all’inizio sembra uguale, per poi tramutarsi, con persone che parlano del crollo del dollaro, di letteratura e della matematica.
C’è ben poco da dire sulla nuova pellicola di uno dei maestri del cinema francese, ma come è successo a Zhang Yimou, impossibile parlarne e non preoccuparsi della vera essenza del lavoro di questi maestri, che sembra essere svanita, anche se non si sa per quale motivo.
Adieu au langage un film di appena 70 minuti che in verità sembra durare molto di più, è una pellicola che fa affidamento solamente all’immagine, che lascia il senso, anche se il significato a tratti è distinguibile, sullo sfondo, privilegiando l’uso della nuova tecnica (il 3D).
Da sempre Godard, ma probabilmente di più negli ultimi decenni, è famoso per le sue opere un po’ enigmatiche, ma che nonostante tutto, rendendo la visione e la capacità d’accoglienza da parte dello spettatore, un po’ difficile, riescono a trasmetter un messaggio, facendo riflettere e provocando.
Il celebre regista, ha infatti caricato l’immagine stessa di significati reconditi, creando una pellicola che è una vera e propria sfida alla comprensione; ambizioso, ma a seconda dei punti di vista, anche pretenzioso, per pochi, una sorta di film appartenente alla video-arte, sperimentale e difficile da decifrare, che lascia senza dubbio spiazzati e sebbene si intravedano e si leggano tra le righe dei messaggi su cui il regista ha voluto riflettere, ciò che risulta è un’opera sconclusionata ed oltretutto, imbruttita dal 3D.
Alice Bianco