After Earth – Recensione
Una nuova era, A.E., cioè “dopo la terra”. Tutto è cambiato, anche il calendario: gli anni non si conteranno più come A.D. “Anno Domini” ma come A.E. “After Earth” appunto.
Mille anni dopo un evento catastrofico che ha costretto l’umanità ad abbandonare la terra, la nuova dimora dell’uomo è il pianeta Nova Prime dove vive la famiglia Raige. Cypher (Will Smith) è un generale degli United Ranger Corps e suo figlio Kitai (Jaden Smith) vuole seguire le sue orme. Quando Cypher torna a casa dopo l’ennesima lunga missione, si rende conto che il forte desiderio del figlio di primeggiare lo ha reso avventato facendo fallire il suo primo tentativo di diventare Ranger. Per appianare il divario tra padre e figlio, la moglie suggerisce a Cypher di portare Kitai con sé in una delicata missione. Ma la loro navicella spaziale precipita nel luogo più inospitale dell’universo, la terra, che si è evoluta in modo letale per gli uomini. Dopo un atterraggio di fortuna, Cypher è seriamente ferito e immobilizzato. Tocca a Kitai spingersi in un lungo percorso per recuperare un dispositivo in grado di lanciare la richiesta di soccorso muovendosi in un territorio sconosciuto fra strane specie animali che ormai dominano il pianeta e minacciato da una spaventosa creatura aliena fuggita dopo l’atterraggio. Padre e figlio dovranno imparare a collaborare e a fidarsi l’uno dell’altro per riuscire a tornare a casa.
Questa volta il regista M. Night Shyamalan lavora su commissione, anche se è intervenuto in fase di sceneggiatura insieme a Gary Whitta elaborando un soggetto (e un progetto) nato dalla fantasia di Will Smith. L’attore sfrutta ancora il suo potere produttivo per avviare la carriera del figlio Jaden (un’operazione iniziata con La ricerca della felicità e proseguita con Karate Kid – La leggenda continua), questa volta per piazzarlo direttamente sulla rampa di lancio verso la notorietà immobilizzandosi dentro una navicella spaziale con una gamba a pezzi e mandando il figlio in missione in una terra piena di insidie.
L’universo di questa avventura familiare (ma, si badi bene, non esattamente “per famiglie”) è un mondo oscuro, rischioso, capace di generare solo paura e angoscia. “Ogni forma di vita sulla terra si è evoluta per uccidere l’uomo” spiega il padre al figlio. Il nuovo pianeta, attraverso la specie aliena degli Skrel che rivendica il dominio di quella che considera la sua terra promessa, ha generato gli Ursa, creature da incubo che riescono a percepire la paura attraverso i ferormoni emessi dagli uomini per rintracciare e uccidere le sue prede. L’unico modo per sconfiggere queste bestie è non temerle. Fin troppo ovvio il risvolto metaforico: solo chi riesce a vincere la paura diviene invisibile alle terribili creature. Elaborare, razionalizzare, vincere il terrore, è questo uno degli spunti più interessanti, e il fatto che un Ursa si mostri solo nella fase finale del film facendolo percepire solo come costante minaccia è un punto a favore del talento di un regista avvezzo a trattare la paura e le sue derive suggestivo-emozionali sul grande schermo.
In questo senso il giovane Kitai è una sorta di “predestinato”, un guerriero puro. Ma proprio su questo e su altri aspetti, hanno fatto leva alcune voci critiche che hanno visto similitudini tra l’opera di Shyamalan e la controversa dottrina di “Scientology”. Marc Headley, ex membro della “chiesa di Scientology”, in una sua recensione, ha osservato come After Earth contenga “linguaggio, concetti e iconografia” derivati direttamente dalla dottrina elaborata da Ron Hubbard. In particolare evidenti parallelismi sarebbero da rintracciarsi nell’insegnamento-chiave trasmesso da padre a figlio: “Il pericolo è reale. Ma la paura è una scelta”. Ebbene, gli insegnamenti di Scientology presuppongono che paura e emozioni vengano innescate dalla nostra mente, mentre scopo della dottrina sarebbe eliminare tutto ciò. Ma anche l’immagine del vulcano, sulla cui sommità avviene lo scontro finale, o la particolare impermeabilità alle emozioni mostrata per tutto il film da Cypher-Will Smith, sarebbero un chiaro riferimento ai presupposti della dottrina.
Ma, al di là di tali questioni che hanno lasciato uno strascico di polemiche soprattutto negli States, il film sembra più che altro raccontare il rito di passaggio di un ragazzo verso l’età adulta. C’è sempre una soglia da varcare, al di là della quale c’è l’ignoto, un mondo nuovo: rotte, strade, sentieri che si moltiplicano e non sono prestabiliti. Al di là di questa soglia, il mondo non è più lo stesso e le regole non sono più quelle conosciute. Sono regole da scoprire e capire. Come ogni protagonista di un rito di passaggio, il giovane Kitai deve appropriarsi di questo nuovo mondo e compiere in pieno il suo percorso, anche e soprattutto attraverso le sue paure (non a caso il film è disseminato di riferimenti al libro “Moby Dick” uno dei romanzi-emblema di un percorso di passaggio). La soglia di Kitai è un pianeta terra abbandonato dagli uomini perché reso ormai ostile da anni di fatali catastrofi ambientali come tsunami, aria e cibo tossico, condizioni climatiche estreme.
Fanta-action poco giocattolo e piuttosto “serio” nel suo catastrofismo, dallo svolgimento asciutto ed esente da inserimenti leggeri e dalle solite battute ironiche, After Earth ha il sapore deciso di un racconto metaforico sulla paura che ne fa un film diverso da tanti blockbuster hollywoodiani ammiccanti e giocherelloni.
Elena Bartoni