Alex Cross (La memoria del killer) – Recensione
Doveva essere un action thriller duro, emozionante e adrenalinico l’Alex Cross di Rob Cohen (Fast & Furious e La Mummia), adattamento cinematografico del romanzo di James Patterson, La memoria del Killer, il terzo capitolo della saga de Il collezionista e Nella morsa del ragno, che racconta il ritorno alle origini del protagonista: un detective della polizia di Detroit. Il risultato è, invece, un film che fa acqua da tutte le parti, incoerente, banale, prevedibile e scontato, che annoierebbe e deluderebbe anche su piccolo schermo.
Nei panni di Alex Cross, al posto di Morgan Freeman (protagonista dei precedenti Il Collezionista e Nella morsa del ragno) è questa volta Tyler Perry, scelto per la sua somiglianza fisica al personaggio descritto da Patterson nel romanzo. Se questo film doveva, quindi, essere un’occasione per lanciare Perry in un ruolo drammatico, il tentativo è vano visto che l’attore, vuoi per la ridicola sceneggiatura, vuoi per lo scarso carisma, suo o del suo personaggio (senza dubbio nulla a che vedere con la personalità di Morgan Freeman), non riesce minimamente a trascinare e a coinvolgere il pubblico nella sua avventura investigativa.
La trama è fin troppo semplice e lineare: Alex Cross e la sua squadra si trovano a dover investigare su un killer (Matthew Fox) soprannominato Picasso per i disegni di stampo cubista che lascia sul luogo del delitto. Cross ha una splendida famiglia (una moglie incinta del terzo figlio, due bambini e una saggia madre) e vorrebbe lasciare il suo lavoro per un posto a Washington. Con lui lavora Tommy Kane (Edward Burns), suo amico fin dai tempi del liceo, e Monica Ashe (Rachel Nichols), i quali intrattengono una relazione clandestina, proibita tra colleghi, che sembra essere vero amore.
I dialoghi banali e ovvi tra il protagonista e la moglie, incorniciati in un quadro idilliaco, e quelli tra Tommy e Monica, preoccupati sul capire che direzione debba prendere la loro storia d’amore, lasciano presagire come le cose andranno a finire. Per il pubblico non ci sono segreti, né suspence, né sorprese.
Lascia perplessi l’inverosimile e affatto convincente acume investigativo di Cross, che, quasi con uno schioccar di dita, capisce cosa è successo sul luogo del delitto e gioca per telefono a fare lo psicologo con il killer perdendo di vista il suo compito: proteggere chi è preso di mira, di volta in volta, dall’assassino. A ciò si aggiungono incoerenze come l’indifferenza alla morte della collega Monica, e un insieme di scene di forzata azione che compongono una storia che non decolla mai e non trasmette nulla. Anche Jean Reno, nel piccolo ruolo del ricco proprietario di una multinazionale, non ne esce bene. Un grande attore del suo calibro, che tutti ricordiamo nei panni di Léon, poteva risparmiarsi di far parte di un progetto non degno del suo nome e della sua carriera.
Unica rivelazione e sorpresa può essere Matthew Fox (Lost) come non lo abbiamo mai visto: magrissimo e impressionante nelle sue smorfie di dolore e momenti di follia. Per il resto il film è fallimentare e deludente in ogni aspetto. Da evitare.
Elisa Cuozzo