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American Hustle – L’apparenza inganna – Recensione

Verità e bugie, realtà e finzione in una girandola di situazioni che coinvolgono quattro personaggi in cerca della strada giusta, della propria identità, della propria vita soprattutto. Con queste parole si potrebbe sintetizzare American Hustle, terzo capitolo di un’ideale trilogia iniziata da David O. Russell con The Fighter e continuata con Il lato positivo.
Personaggi che cercano di cambiare e reinventarsi sono al centro di questa storia immersa in pieno clima anni ’70. Il piccolo genio della truffa Irving Rosenfeld (Christian Bale) intravede la possibilità di dare una svolta alla propria vita nell’incontro con Sydney Prosser (Amy Adams) i cui modi sicuri e seducenti lo incantano. La donna diventa sua socia e sua amante in un’attività di consulenza per prestiti-truffa. Ma quando i due vengono scoperti, l’agente FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper) li costringe a lavorare per lui mettendo in piedi un’operazione sotto copertura per catturare alcuni rappresentanti governativi corrotti, a cominciare da Carmine Polito (Jeremy Renner), sindaco della città di Camden in New Jersey. Anche DiMaso è attratto dallo stile di vita di Irving e Sydney e intravede la possibilità di cambiare la propria vita. Intanto l’imprevedibile moglie di Irving, Rosalyn (Jennifer Lawrence) potrebbe essere la chiave di volta per far crollare tutto questo castello di inganni e bugie.
Una storia realmente accaduta (la cosiddetta “Operazione Abscam” dell’FBI che portò all’arresto di politici corrotti) riveduta e corretta à la David O. Russell, una truffa a stelle e strisce capace di ironizzare sul classico american dream, un film imprevedibile e difficilmente classificabile (un po’ gangster movie, un po’commedia nera, un po’ dramma poliziesco). Tutto questo è American Hustle.
D’altronde, quando dietro alla macchina da presa c’è il sorprendente regista de Il lato positivo, non deve stupire la volontà di oltrepassare etichette, convenzioni, stilemi di genere. A dominare, ancora una volta, sono le sfumature, le ironie, il grottesco. Un ‘divertimento nero’ in cui il regista si prende (amabilmente) gioco dei suoi personaggi senza tuttavia cadere mai nella macchietta.
Ancora una volta i personaggi più della storia, persone in cerca della propria identità, che hanno la vita (ancora) ridotta in frantumi e che non possono fare a meno di chiedersi come ricominciare a vivere (e ad amare). Ancora una passione per persone (ci si perdoni il bisticcio) appassionate. L’amore in tutte le sue forme lega i personaggi: amori lunghi, amori brevi, amori al capolinea. La stessa truffa viene vista come forma di amore, come abilità nell’incantare e portare a credere, desiderare, sognare. L’inganno quindi, negli affari come in amore: ma come inganniamo gli altri e soprattutto noi stessi?
Dissimulazione e inganno appaiono come i fili conduttori che legano un film fatto di personaggi umani e capace di andare al di là della ricostruzione di uno scandalo realmente accaduto per arrivare, complice un’abile rilettura dei fatti compiuta dal regista insieme allo sceneggiatore Eric Warren Singer, a un’opera strana, dove il racconto di una Stangata si fonde con le memorie di ricordi personali. Una storia cui il regista infonde un senso più profondo: l’incontro-scontro con scomode verità lungo l’accidentato cammino che ogni uomo compie per reinventare sé stesso e sopravvivere, dove a ogni caduta segue una rinascita.
Ancora una volta O. Russell si dimostra unico nella sua capacità di tirare fuori il meglio dai suoi attori (non è casuale il record di quattro attori nominati all’Oscar in tutte le categorie per un unico film come è accaduto con Il lato positivo che ha regalato la statuetta alla giovane Lawrence). Questa volta le luci della ribalta sono per una squadra di interpreti riuscitissima: un bravissimo e quasi irriconoscibile (pelato e ingrassato) Christian Bale, un inedito Bradley Cooper (la sua chioma riccioluta non passa certo inosservata), una Amy Adams fascinosa e sexy come non mai, una Jennifer Lawrence borderline e incontrollabile. A questi aggiungete un Jeremy Renner nei panni di un sindaco corrotto (e dalla pettinatura cotonata) e, ciliegina sulla torta, un cameo di De Niro nei panni di un boss mafioso che conosce l’arabo.
Pezzo forte del film sono le musiche che mettono insieme una serie di brani cult degli anni ’70 davvero indovinati, in testa a tutti la celebre hit “Live and Let Die” di Paul McCartney che accompagna Jennifer Lawrence in una scena clou, e “Jeep’s Blues” di Duke Ellington che “accende” il feeling tra Bradley Cooper e Amy Adams.
American Hustle, ovvero la danza, ora frenetica ora al ralenti, di un gruppo di persone che sentono tarpate le ali delle loro ambizioni, uomini e donne capaci di fregarsi l’un l’altro ma anche di salvarsi. Frustrazioni, fallimenti, conflitti, amori, ma soprattutto la potenza della menzogna che va di pari passo con l’arguzia della sua messinscena. Ma in fondo non è quello che fa il cinema da più di un secolo?

Elena Bartoni

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