Apache – Recensione
Tratto da una storia vera, Apache, esattamente come una delle tribù native americane, denomina qui invece il gruppo di ragazzi protagonista del film di Thierry de Peretti, reduce dal Festival di Cannes 2013, sezione “Quinzaine des Réalisateurs”.
Porto Vecchio, Corsica. Aziz (Aziz El Hadachi) e la sua combriccola di amici, penetrano in una delle case in cui il ragazzo ne gestisce la manutenzione con il padre e quella che all’apparenza doveva essere una banale festicciola, si trasforma in un caos: i ragazzi rubano gioielli, fucili e scoprono che il proprietario è un poco di buono. Dopo il furto del fucile antico soprattutto, il padrone, tornato dalle vacanze, incolpa il padre di Aziz della sparizione, toccherà a quest’ultimo insieme agli amici, scagionarlo.
Un po’ “The Bling Ring”, con un leggero rimando anche a “Gomorra”, Les Apaches si dissocia dal lusso alla Paris Hilton, propendendo per la prosperità criminale, sia in termini ambientali che di stile di vita.
De Peretti, si dimostra molto abile nel ritrarre i paesaggi selvaggi della sua Corsica, ma anche posti inarrivabili e segreti, nascosti al turismo, mette infatti in contrasto i luoghi del degrado con quelli dell’opulenza, comunicando il disprezzo dei poveri, infastiditi dai privilegi dei ricchi. Apache, si riferisce proprio agli emarginati sociali, come Aziz, appartenente ad una delle culture presenti nella piccola ma multietnica Corsica.
La pellicola si inserisce nel genere “film di formazione”, dove a farla da padrone sono sempre le storie di vita, la maggior parte delle quali tristi e drammatiche, ma realiste. Apaches infatti, è anche il vero nome dato dai poliziotti parigini ai ragazzi marocchini ed arabi della banlieue di Belleville, che negli anni scorsi sono insorti contro la loro condizione di inferiorità rispetto al centro di Parigi e che con i ragazzi protagonisti della pellicola, hanno in comune la voglia di ribellione nei confronti di coloro che vivono nell’agiatezza.
L’eccezione è che qui la Polizia non c’è, la violenza scaturita dai giovani non viene placata: la giustizia si fa da sé, ed ognuno, sebbene i ragazzi formino un gruppo, pensa a se stesso, solo al limite, al fatto più grave in assoluto, allora decidono di unirsi per proteggersi, accomunati da unico destino.
Stretto nella morsa del comunicare il senso di degrado e nel dover tracciare la linea che divide la classe medio-bassa da quella benestante e borghese, il film rischia molto volte di essere poco chiaro, soprattutto in alcuni passaggi , buono però il ritmo del montaggio, caotico e nevrotico, adatto a sottolineare lo stato d’animo dei ragazzi protagonisti.
Attori giovani alle prime armi, ma molto bravi e convincenti, che riescono ad andare di pari passo con il montaggio suddetto, veloce e adrenalinico. Un’ultima nota in favore del regista, di non essere caduto nel banale, né per quanto riguarda la regia né riguardo alla sceneggiatura, probabile ma imprevedibile.
Alice Bianco