Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie – Recensione
Tante, forse troppe, scimmie e poca sostanza per questo retorico Apes Revolution, sequel del reboot con James Franco uscito qualche anno fa, al quale il cambio alla regia non fa poi così bene dal punto di vista narrativo, regalandoci una storia debole che fa solamente da tramite ad un probabile, quanto inevitabile, terzo capitolo.
La popolazione delle scimmie, guidata da Cesare (Andy Serkins) si sente minacciata da una comunità di umani sopravvissuti al virus delle scimmie che ha decimato la razza. La pace che riusciranno a raggiungere durerà poco e le due fazioni si troveranno sull’orlo di una guerra per il dominio del Pianeta.
Matt Reeves decide di seguire la linea iniziata dal suo predecessore, Rupert Wyatt, e relega l’azione alle ultime parti della pellicola, facendo concentrare lo spettatore sul CGI e sull’antropomorfismo totale che questa tecnica riesce a creare, portando però sullo schermo una storia che non sembra abbia molto da dire.
Reeves, infatti, concentra la sua attenzione troppo sulla fazione scimmiesca, mettendo in disparte la parte umana, escluso (ma non troppo) Jason Clarke, relegata a semplici macchiette stereotipate. Un esempio è Dreyfuss, interpretato da uno sprecato Gary Oldman, personaggio completamente abbozzato, che dovrebbe essere il villain degli umani, ma il più delle volte ci dimentichiamo della sua esistenza.
Questo squilibrio si sente dal punto di vista narrativo anche se viene, dobbiamo dirlo, compensato da un ottimo controllo, dal punto di vista dei movimenti di camera, delle scene. Reeves costruisce una magistrale scena d’assedio da parte delle scimmie, portandoci proprio a viverla in prima persona grazie ad un continuo cambio di punti di vista.
Scene ludiche quindi, vicino ad un videogame, ma tutto troppo superficiale, nonostante il regista cerchi anche di donare a questo Apes Revolution dei riferimenti storici, come Cesare pugnalato alle spalle da quello che considerava un fratello, una sorta di Bruto. Ma tutto si ferma lì aggiungendoci, però, l’immancabile, quanto prevedibile morale, di come l’unico e reiterato virus sia la violenza e come essa renda tutti gli esseri uguali.
Reeves fa bene a non voler partire subito con l’azione a fare di essa il perno di tutta la pellicola, ma allo stesso modo non regala alla sua pellicola nessuno scossone, portando sullo schermo una trama fin troppo lineare e prevedibile, che non riesce a convincere totalmente.
Sara Prian