Attack the Block – Recensione
In un momento in cui il cinema di fantascienza deve fare i conti con il continuo rinnovamento delle tecnologie, dovendo intrattenere il pubblico con una sempre maggiore spettacolarità, e finendo col trascurare in maniera evidente l’aspetto della scrittura, arriva nelle sale italiane, dopo il passaggio al Festival di Torino nel quale si è aggiudicato il premio di Miglior Film per la Critica Online, Attack the block, esordio alla regia del comico televisivo e conduttore radiofonico londinese Joe Cornish. Con un budget di appena (da noi in Italia si fa per dire!) 13 milioni di sterline, il film è prodotto dalla Big Talk Productions, conosciuta dai cinefili più incalliti per aver prodotto capolavori del cinema indipendente made in UK come L’alba dei morti dementi e Hot Fuzz, diretti da Edgar Wright e scritti a quattro mani insieme a Simon Pegg. Il film, che ha fatto incetta di premi in tutto il mondo (oltre al già citato al Torino Film Festival, ha ottenuto il Premio alla Miglior Opera Prima al Toronto Film Festival), è un calibrato e ingegnoso film di genere che guarda, più che con nostalgia con vera e propria devozione, ai favolosi anni Ottanta ed a John Carpenter in particolare (Distretto 13: Le brigate della morte, 1976; 1997: Fuga da New York, 1981), aspetto quanto mai evidente anche nella scelta di mettere il titolo “sbilenco” ad inizio film.
Siamo nella periferia di Londra. Sam, una giovane infermiera, viene aggredita e derubata da una banda di giovanissimi teppisti di quartiere: Moses, Pest, Denis, Jerome e Biggz. Quando un meteorite precipita su una macchina parcheggiata lì vicino, la ragazza riesce a fuggire, approfittando della curiosità dei cinque che inaspettatamente si trovano a che fare con un alieno. Spavaldi e per nulla intimoriti, questi si lanciano all’inseguimento della creatura, la uccidono e decidono di nasconderla nell’appartamento di spacciatore che vive nel loro stesso blocco, aspettando di decidere come utilizzare quella che molto probabilmente sarà la loro miniera d’oro. Ma una seconda ondata di meteoriti si abbatte sul quartiere, e quello che sembrava un caso fortuito diventa un’invasione aliena vera e propria. Il quartiere si trasforma in un campo di battaglia e il gruppo di teppisti diventa l’unica speranza di salvezza per chi vi abita…
Uno degli aspetti più interessanti del film, oltre che la miscela di suspense, commedia (degna del miglior humor inglese), “divagazioni” nello splatter, nonché i tuffi senza paracadute nello stile più grottesco, è la scelta, coraggiosa, di non utilizzare la CGI per realizzare un film di fantascienza. Gli alieni, mezzi gorilla e mezzi lupo (come vengono descritti nel film), sono realizzati secondo la tecnica della vecchia scuola, ovvero senza l’ausilio del computer, ma con degli uomini in costume. Questo aspetto, oltre che sottolineare il fatto che si possa fare un film di ottima fattura anche senza l’utilizzo della computer grafica, è un omaggio appassionato ad una tipologia di cinema più cosciente di se stessa e dei propri limiti (puramente tecnici), che puntava sulla scrittura di una storia convincente, che fosse si puro intrattenimento per le masse ma anche una, seppur leggera, denuncia sociale.
Serena Guidoni