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Automata – Recensione

Ultimamente sembra si senta il bisogno di riportare alcuni generi cinematografici alle loro origini. La scorsa settimana Sergey Bodrov ci ha provato con il fantasy e il suo Settimo figlio, questa settimana è la volta di Gabe Ibáñez che con Automata, prende il genere sci-fi, lo smonta dagli orpelli, cercando in tutti i modi di creare un’atmosfera, quanto una storia alla Isaac Asimov. Ci riesce per metà.

Jacq Vaucan, interpretato da Antonio Banderas (qui anche in veste di produttore), è un ispettore assicurativo che lavora per un’azienda che ha creato un androide, Automata Pilgrim 7000, in aiuto di quella poca popolazione sopravvissuta alle tempeste solari. Questi robot, però, hanno acquisito la coscienza, sviluppando una personalità e rischiando di mettere in pericolo il futuro dell’umanità.

Ibáñez parte dalle basi, dalle ‘Leggi della robotica’ di Asimov per costruire questo noir apocalittico che non apporta assolutamente niente di nuovo al genere. Di film, infatti, sull’intelligenza artificiale se ne sono visti quasi fino alla nausea e questo Automata, non si distacca da quel tipo di cinema se non per la lentezza con cui il tutto viene raccontato e proposto.

Certo il concept generale provoca su di noi una macabra attrazione, un futuro in balia di macchine che si creano una coscienza attira e respinge allo stesso tempo e, la forza del film, sta nella completa mancanza di uso troppo bulimico della computer grafica, dando un look alla pellicola più realistico.

Quello che forse delude di più, ma che per molti potrebbe essere un punto a favore, qui si dipende completamente dai gusti personali, è la non presenza di vere e proprie scene d’azione. Tutto questo, comunque, in favore di una buonissima interpretazione di Banderas e di un sottotesto filosofico-antropologico davvero interessante e meritevole d’attenzione.

Automata è complessivamente un film discreto, che non può piacere a tutti, ma che riesce a sfruttare con sapienza le leggi base della robotica, creando un suggestivo noir dalle tinte intellettuali.

Sara Prian

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