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Babadook – Recensione

Dimentichiamoci del classici film horror estivi fatti di spaventi gratuiti, perché Babadook, la pellicola d’esordio di Jennifer Kent è un film del genere, atipico, che esplora il lato psicologico umano, scava all’interno del trauma, lo snatura ed esplode davanti allo spettatore.

Amelia (Essie Davis) vedova da sei anni e il figlio Samuel (Noah Wiseman), nato con la morte del padre, sono i protagonisti del film. Madre single con grandi difficoltà economiche, Amelia è distrutta dallo stress causato dall’iperattività del bambino. Samuel infatti non dorme bene, la tiene sveglia, è violento e non ha molti amici. Le cose non migliorano quando nella loro vita si materializza un libro di favole diverso dagli altri, con un protagonista di nome Babadook, cupo e spaventoso. Nonostante il libro venga riposto, l’uomo vestito di nero e con cappello a cilindro diventa reale ed intrappola i due nella loro stessa casa.

Alcuni mesi fa il re dell’horror letterario, Stephen King aveva cinguettato dicendo che la pellicola dell’australiana Kent fosse uno dei più profondi e disturbanti film degli ultimi tempi, del resto, immaginarsi King spaventato è il primo vero incentivo per vedere Babadook.

La vera particolarità del film è la sua completa volontà di scavare, di dar vita ai personaggi, analizzandoli nel profondo. Lo spettatore infatti, fin da subito, dalla prima inquadratura, viene inoltrato nel mondo delle ossessioni, dei sogni e tutto quell’universo personale nascosto agli altri.

Una regista donna non poteva far altro che porre al centro della pellicola un’altra figura femminile ed analizzarne il suo stato d’animo dopo un trauma come la morte del marito. L’instabilità caratteriale della madre è il vero lato oscuro della storia, ben peggiore dell’uomo nero Babadook, che non è il classico boogeyman.

La fotografia e l’arredamento dell’abitazione, studiati nel dettaglio, in un continuo grigio che solo lentamente lascia emergere la presenza dell’uomo nero, contribuiscono ad incupire l’atmosfera, che raggiunge il suo apice nel culmine di follia della protagonista.

Attraverso il suo minimalismo, la sua cura introspettiva e quel senso di frustrazione ed inquietudine che pervadono la pellicola sono gli elementi che conferiscono personalità alla pellicola, un piccolo gioiello dell’horror recente, mai scontato ma ricco di spunti di riflessione e colpi di scena, fin all’ultimo frame.

Alice Bianco

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