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Bekas – Recensione

Ci sono dei film che solo al primo sguardo capisci già che dovrebbero appartenere ad una platea da Festival più che ad una platea di cinema comune. Ci sono film che sono fatti per vivere di kermesse, che vibrano e pulsano tra le parole e gli occhi di cinefili e addetti ai lavori, ma che difficilmente poi trovano spazio nelle sale nostrane.

Un film tipicamente festivaliero che però trova la sua coraggiosa distribuzione grazie a Minerva Pictures Group è Bekas, film del 2012, del giovane Karzan Kader, che racconta la storia di due fratelli che, nei primi anni ’90, vivono in pieno il regime di Saddam Hussein. Zana e Dana, 7 e 9 anni, sono due orfani, senza dimora (Bekas significa proprio questo) che sognano di raggiungere l’America per portare in patria Superman e fargli salvare la popolazione dall’oppressione. A bordo di un asino, chiamato Michael Jackson, comprato con i pochi risparmi ottenuti lustrando le scarpe, i due bambini iniziano il loro cammino verso il sogno americano.

Nonostante, fin da subito, il regista collochi in maniera precisa la sua storia, la guerra rimane interamente ai margini del racconto, concentrandosi principalmente sul rapporto dei due bambini e sul loro bisogno di riscatto. La cultura americana è, infatti, più presente del conflitto stesso, vista come un simbolo di libertà e rappresentata da questa figura ideale che è Superman.

Bekas è una pellicola tutto sommato godibile che ha il suo punto debole nell’estrema retorica e nel prevedibilissimo finale, che mette tutti d’accordo e rende tutti (più o meno) felici. Non c’è niente di nuovo nel racconto di Kader, gli ingredienti, infatti, del classico film di genere ci sono tutti: il dramma, il viaggio, i fratelli, la guerra, il sogno americano sanno troppe volte di già visto e le situazioni risultano a tratti troppo ripetitive e fastidiose.

L’unica cosa che possiamo salvare è come Kader tratteggia il rapporto tra Dana e Zana anche se, dopo la prima mezz’ora, dobbiamo dirlo, abbiamo fatto fatica a sopportare il fratello più piccolo: uno dei più petulanti e urlatori della storia. Concentrandosi però troppo sulla fraternità si perde di vista tutte quelle sfumature che potevano trasformare la pellicola in qualcosa di più. Come detto, infatti, la guerra rimane solo un’ eco di sottofondo, le difficoltà a scappare da una paese rimangono altrettanto sullo sfondo, lo stesso Saddam è accennato si e no 2 volte.

Bekas poteva essere molto di più, ma si ferma ad un film che non riesce a trovare la sua identità e nemmeno il suo fine ultimo.

Sara Prian

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