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Bellas Mariposas – Recensione

Salvatore Mereu è uno regista raro, ma sopratutto prezioso per il nostro cinema. Nei suoi lavori si percepisce quella giusta dose di coraggio e dedizione nei confronti delle storie che vuole raccontare, che non sono sinonimo di spregiudicatezza ne tanto meno di un atteggiamento saccente nei confronti del pubblico. Il suo è un cinema che parla a chiunque lo guardi con una verità sconvolgente, una messa a nudo di situazioni e problematiche, senza mai abbellire l’immagine di inutili orpelli, ma restituendoci la realtà così come la vediamo. La sfida del suo ultimo film Bellas Mariposas è oltre che dal punto di vista stilistico, anche da quello distributivo. Presentato con successo all’ultimo Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, il film ha iniziato il suo percorso distributivo proprio in Sardegna, la terra natia del regista e dove è ambientata la storia, ottenendo un successo clamoroso. Ma è nel resto del continente italiano che iniziano i problemi. Nonostante il successo a Venezia, e i diversi riconoscimenti al Festival di Bari e Rotterdam, nonché l’uscita nelle sale di Olanda e Belgio, Mereu non è riuscito a trovare un distributore per il territorio nazionale e si è visto costretto a prendere la decisione di auto-distribuire il suo film.

Siamo nella periferia di Cagliari, precisamente nel quartiere Sant’Elia, una zona difficile dove crescere in fretta è una prerogativa essenziale per la sopravvivenza. Cate ha 11 anni e attraverso il suo sguardo e il suo racconto in prima persona, ammiccando continuamente verso la macchina da presa, ci porta alla scoperta di una storia fatta di povertà e degrado, narrata però con la spontaneità di una bambina e allo stesso tempo la consapevolezza di una donna adulta. 

Una carrellata di personaggi “quotidiani” e complessi, bizzarri e folli che diventano più reali proprio grazie alla protagonista che ce li mostra come se descrivesse un tableau vivant. Mereu ci porta nei meandri di questo degrado ma mette da parte ogni tipo di giudizio, consentendo alla storia e ai personaggi di parlare con schiettezza e senza riserve di se stessi. 

Serena Guidoni

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