Benvenuti al Nord – Recensione
Su e giù per l’Italia. Da nord a sud, da sud a nord. Pregiudizi di andata e di ritorno. Formula che vince non si cambia. E dopo Benvenuti al Sud (uno dei più grandi successi del cinema italiano degli ultimi anni con quasi 30 milioni di euro incassati) ecco l’immancabile sequel Benvenuti al Nord.
Questa volta è il meridionale Mattia (Alessandro Siani), divenuto padre di un ‘picciriello’ che ha chiamato Edinson, come il mitico Cavani, a trasferirsi al nord in seguito alla crisi con la moglie Maria (Valentina Lodovini) che lo accusa di non volersi prendere le responsabilità di una vita adulta. A Milano anche l’amico Alberto (Claudio Bisio) non se la passa troppo bene alle prese con la moglie Silvia (Angela Finocchiaro): ora che è finalmente riuscita a trasferirsi a Milano, detesta la città a causa delle polveri sottili e dell’ozono troposferico e accusa il marito di trascurarla a causa del troppo lavoro. Per risvegliare l’amore, Silvia prende una casa in montagna dove trascorrere i weekend, ma Alberto ha accettato di guidare un progetto-pilota delle Poste che lo impegnerà anche di sabato per un anno. L’arrivo del napoletano al nord e l’impatto con la vita dell’amico porterà poi un vero terremoto. Mattia e Alberto, entrambi abbandonati dalle mogli, si troveranno di nuovo a confrontarsi con le loro diversità. E così Mattia, impiegato nell’ufficio postale di cui è direttore Alberto, imparerà il senso di responsabilità dall’amico, mentre Alberto ritroverà leggerezza e gioia di vivere grazie a Mattia. Ma proprio quando l’amicizia tra i due sembra rinata, l’arrivo del gruppo di parenti e amici napoletani di Mattia, provocherà un nuovo scossone.
Struttura speculare rispetto alla pellicola precedente con le situazioni ribaltate di senso ma identiche nella sostanza: demolire i più triti pregiudizi, questa volta sul nord operoso e iper-organizzato. Se nel film precedente Alberto si ricredeva sui presunti vizi e difetti degli abitanti della Campania, ora è il napoletano Mattia a trovare tanti aspetti piacevoli all’ombra della Madonnina. L’impatto dell’indolente impiegato delle poste della cittadina campana di Castellabate con Milano è accompagnato da una pioggia di stereotipi: il clima freddo e nebbioso (da combattere con un giubbotto fornito di fari antinebbia), l’atteggiamento inospitale, la fretta dei milanesi, gli articoli davanti ai nomi propri, il rito dell’ape(ritivo) (siamo o no nella nuova “Milano da bere”?), il caffè che non è buono come al sud.
Operazione commerciale volta a catturare ancora una volta lo stesso grande pubblico che era accorso a vedere il primo film, Benvenuti al Nord gioca facile facile sulla simpatia di una squadra di interpreti ormai collaudata. Un pizzico di pepe lo aggiunge solo la presenza di Paolo Rossi nei panni di un “grande capo” che fa il verso a Sergio Marchionne (l’unica satira un po’ più sapida delle altre) promotore di un nuovo progetto di rilancio delle Poste Italiane dal curioso nome di “E.R.P.E.S.” (Energia, Rapidità, Puntualità, Efficienza, Sorriso).
Commedia in cui la leggerezza sconfina nell’inconsistenza, innocua satira che tenta di far leva su gag prevedibili e rischiose citazioni di pietre miliari della risata. E’ il caso dell’arrivo del colorato gruppetto di meridionali al nord, che può ricordare la celebre scena di Totò, Peppino e la malafemmina. Ma i tempi del “noio volevam savuar” sono lontani.
Sorgono spontanee alcune domande: il tipo di Italia che si vuole ancora una volta disegnare non finisce per cozzare con la reale e ben più sfaccettata mappa della contemporaneità? Non hanno ormai perso valore vecchi confini, categorie, modelli? Quell’ordine di opposizioni su cui si fondava una certa idea di identità ha ancora significato? Insomma, non si stanno solo riprendendo vecchi e rigidi schemi di facile presa e leggibilità? Ed ecco personaggi che sono ridotti a figurine, immaginette, quasi fossero marionette di un teatrino un po’ sbiadito in un ambiente che sembra un fondale dipinto, quasi di cartapesta (il conciliante finale tra le bianche nevi alpine parla da solo).
E il cinema diviene intrattenimento intriso di banalità e stereotipia in cui il sorriso è davvero poca cosa.
Elena Bartoni