Black Sea – Recensione
Kevin Macdonald, già premio Oscar per One Day in September, ci porta con il suo nuovo Black Sea, ancora una volta, ad esaminare la profondità della mente umana messa sottopressione, in una situazione di pericolo, utilizzando il sottomarino come un pretesto metaforico per analizzare il buio della psiche.
Per riuscirci si affida a Jude Law che qui, lontano dal candore delle sue vecchie pellicole, interpreta Robinson, un capitano di sommergibili che oltre ad avere problemi con la ex moglie ed un figlio che non vede mai, si ritrova licenziato dal lavoro che ama di più al mondo. Nel tentativo di riscattarsi e di mettere da parte un gruzzoletto, raccoglie un gruppo di uomini per recuperare un sottomarino tedesco rubato, carico d’oro, disperso nel Mar Nero dal 1941. Raggiunto il tesoro però saranno molti i problemi che Robinson dovrà affrontare.
Black Sea riesce, con estrema intelligenza, a mettere insieme il cinema d’azione con quello più introspettivo, alternando le due parti senza mai perdere il filo del discorso e, cosa ancora più importante, senza mai annoiare lo spettatore che si trova a diventare un voyeur, un altro elemento dell’equipaggio in un’atmosfera claustrofobica e soffocante.
Cosa si è disposti a fare per mettere in salvo se stessi, anche uccidere? Questo è il quesito che si pone Macdonald, mettendo al centro dell’intera vicenda l’homo homini lupus ed un cast davvero eccezionale.
A questo si deve aggiungere il grande apporto dato dalla fotografia cupa e asfissiante di Nick Palmer che porta lo spettatore ad immergersi completamente nel sottomarino, condividendo, come detto in precedenza, le stesse sensazioni dei protagonisti. Certo lo script non è assolutamente perfetto, qua e là lo sceneggiatore Dennis Kelly propone alcuni dei più classici cliché, con alcuni personaggi facilmente catalogabili in certe categorie cinematografiche, ma questo non toglie che Black Sea sia un prodotto fortemente riuscito, ricco di suspance e che dimostra la capacità di Mcdonald di usare la macchina da presa nel migliore dei modi, trasformando il poco spazio a disposizione da impedimento a risorsa, donando così alla pellicola quel quid in più.
Sara Prian