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Blancanieves – Recensione

Dopo il successo di “The Artist” sembra che il cinema muto e il bianco nero siano tornati in auge di questi tempi. Così Pablo Berger ha deciso di rivisitare la classica storia di Biancaneve, riportandola in un’ epoca più vicina alla nostra a ritmo di flamenco.

Carmen (Sofia Oria prima, Macarena García poi) è la figlia di un famoso torero Antonio Villalta (Daniel Giménez Cacho) che ha mollato la carriera dopo la morte della moglie e un incidente che lo ha reso paraplegico. Quando la morte della nonna porta la piccola a vivere a casa del padre e della matrigna Encarna (Maribel Verdú), Carmen dovrà imparare a cavarsela da sola con l’aiuto di 7 simpatici nani toreri.

Più vicina alla reale storia dei Fratelli Grimm rispetto a quella della Disney, “Blancanieves” ci porta nella Spagna polverosa anni ’20 dove le arene prendono il posto dei boschi rispolverando quel cinema rimasto troppo tempo nelle cineteche e nelle università. Nonostante sia nato prima di “The Artist”, la pellicola benificia del successo del film di Haznavicius e attira su di sé la curiosità di uno spettatore che ha voglia di riscoprire, anche se in maniera moderna, il cinema che fu dei Lumière.

Sono personaggi, quelli di Berger, che non hanno bisogno di parole, ma solo di sguardi, di primissimi piani e di azioni. Anche se non ci fossero i classici cartelli che fanno da dialogo, la storia si comprenderebbe lo stesso, grazie alle intensissime interpretazioni degli attori.

La pellicola viaggia, esattamente come “The Artist”, tra momenti di forte drammaticità e altri tragicomici dove spiccano, oltre alle scene con i 7 nani toreri e nomadi, quelli con protagonista Encarna, resa perfettamente da una bravissima Maribel Verdù. Il suo personaggio, infatti, fa suoi alcuni momenti tipicamene alla Hithcock, soprattutto nei modi per liberarsi del marito, fino a trasformarsi in una dominatrice. Interessante come il regista giochi su di lei, più che su altro, con i toni del bianco (infermiera) e del nero, per indicare la sua doppia valenza come si vede bene nel film disneiano,  dove la strega cattiva è imperiosa e bellissima dentro al castello, ma si trasforma in vecchietta cattiva per dare la mela a Biancaneve.

Molti sono gli omaggi al cinema europeo e altrettanti sono i riferimenti che possiamo trovare nella pellicola come al “Freaks” di Browning di cui i nani si fanno esempio. Altrettanto importante, poi, il simbolismo che si trova in “Blancanieves”. La danza è il perno centrale su cui si muove la vicenda e se all’inizio si fa metafora della vita, improvvisamente diventa morte attraverso l’arena, Encarna e nel fatale morso alla tradizionale mela.

La teca con Biancaneve, nel suo sonno eterno, finisce per rappresentare il cinema che nel suo viaggio perpetuo e senza fine promette grandi cose a chi, con un bacio, saprà risvegliarlo e riportarlo, metaforicamente, agli albori che furono.

Sara Prian

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