Body Language – Recensione

Pellicola leggera, giusta per il periodo estivo, il danzereccio Body Language, non si discosta dal predecessore Step Up, ma arriva in Italia (dai Paesi Bassi) solamente dopo due anni, quando la scia del più famoso film americano, si è ormai dissolta.

I protagonisti sono dei ballerini appartenenti a vari gruppi di breakdance olandesi, che finanziati da un programma statale, dovrebbero andare a New York a combattere una delle classiche “battaglie delle crew”. Qualcosa però va storto e addio finanze, solamente 5 ballerini fra loro decideranno di partire lo stesso, arrangiandosi come possono e dovendo mescolare i loro stili così diversi fra loro.

Una sorta di reality show più che un film, Body Language, parte da una situazione corale tipica, andando poi a restringersi pian piano, finché l’attenzione è tutta concentrata su questi 5 protagonisti (poi solo sull’onnipresente coppia di innamorati), i “sopravvissuti”, che faranno di tutto pur di partecipare alla “Battaglia di Broadway”.

Si allenano all’aria aperta o in luoghi fatiscenti pur di sfondare, pur di farcela, altro tema comune a tutti i film del genere: si parte dal basso per arrivare ai vertici del successo e la morale è sempre la stessa: l’arte riscatta chiunque si impegni.

Altro aspetto negativo è il montaggio del film, che affetta, nel vero senso della parola, le coreografie messe in campo dai protagonisti, che seppur bravi, vengono sacrificati a dispetto di un’arte anch’essa come quella del montaggio, che quando prende il sopravvento però, rischia di rovinare il resto della pellicola.

Non rimane da dire poi molto circa la trama, storia e risultato finale del film sono quelli facilmente prevedibili: nulla di nuovo, anzi. Miscela di stili diversi di danza, un cast cosmopolita come New York, ma un nulla di fatto, il film, offre solamente tipiche emozioni adolescenziali e nemmeno i ballerini con la loro bravura riescono a rendere la pellicola, almeno un po’ gradevole.

Alice Bianco