Brick Mansions – Recensione
Azione, sparatorie, le immancabili fughe a bordo di auto costose e una mediamente buona dose di adrenalina, fanno sì che Brick Mansions, risulti un film godibile solamente dal punto di vista estetico, snaturando però il film da cui è tratto (Banlieu 13), impoverendone la sceneggiatura e restituendo allo spettatore un prodotto meramente commerciale, di puro intrattenimento.
Detroit, 2018. Un quartiere popolare cinto da mura di separazione dalla città, il Brick Mansions, è controllato da soldati dell’esercito. Quando il boss della zona, Tremaine Alexander (Rza) trova una valigetta contenente una bomba e la attiva, la polizia decide di mandare all’interno uno dei suoi uomini sotto copertura, Damien (Paul Walker), che assieme ad un carcerato che vive lì, Lino Dupree (David Belle), dovrà cercare di disinnescarla prima che esploda e con essa, liberare anche Lola (Catalina Denis), ragazza di Lino, presa in ostaggio da Tremaine.
Buoni e cattivi, il Bene e il Male, chi all’apparenza sembra essere malvagio, o lo è veramente, oppure fa finta e rivela un lato del carattere positivamente inaspettato e viceversa. Questo è Brick Mansions, una tana di lupi ed agnelli, in cui essi convivono con una propria autoregulation, un quartiere proiettato nel futuro, dove però l’immigrazione, la delinquenza e chi rappresenta un peso per i governi, è ancora preso di mira.
Tutto ciò però, è intuibile solamente pochi minuti prima della fine, perché in verità, accade tutto proprio nelle ultime scene del film, finendo per spazientire lo spettatore che credeva si fosse creata una situazione iniziale, da sviluppare nel corso della pellicola. Sviluppo che però manca totalmente, a discapito delle scene d’azione, spettacolari senza dubbio, ma palesemente costruite per mettere a suo agio Walker.
Ad essere assente infatti, oltre all’alchimia dirompente tra David Belle e Cyril Raffaelli, presente in Banlieu 13, è anche il parkour, disciplina nata proprio grazie al protagonista francese, Belle, che nel film originale del 2004 aveva dimostrato la sua abilità fisica, in buona parte delle scene d’azione, in cui era il parkour il vero protagonista, non gli inseguimenti in auto.
Omaggio all’osannato attore della fortunata serie automobilistica ‘’Fast and Furious’’, il film risulta quindi scarnificare la sceneggiatura, mantenendo solamente l’idea base del film originale da cui è tratto. Troppo Fast e anche troppo Furious, la pellicola di Delamarre, finisce per limitarsi da sé, ridotta ai minimi termini infatti, in un compendio di energia, movimento e nulla più, piena di buchi e non a causa dei proiettili!
Alice Bianco