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Bridget Jones’s Baby – Recensione

Che (grosso) pasticcio questa volta, Bridget Jones!
Ebbene si, per condensare ciò che accade nel terzo capitolo delle avventure della single londinese più famosa al mondo, sarebbe meglio parafrasare il titolo del film precedente.
A distanza di quindici anni dalla prima sorprendente (dis)avventura cinematografica e a dodici anni dal secondo film della serie, ritroviamo la mitica Bridget, ormai quarantatreenne, alle prese con la maternità. Bene, verrebbe da dire, forse era ora, ma il problema è che la nostra eroina si ritrova ad aspettare un bebè, ma non sa chi ne sia il padre.
Ma andiamo per gradi. All’inizio di questo terzo capitolo, Bridget è di nuovo single dopo l’ultima rottura con l’amato Marc Darcy. Più sicura di sé, in gran forma fisica (è ormai archiviata la sua lotta con la bilancia), Miss Jones ha deciso di concentrarsi sul suo ruolo di produttrice di un telegiornale di punta e di circondarsi di vecchi e nuovi amici, tra cui l’amica e collega Miranda. E’ proprio lei a trascinare Bridget (appena spente le sue 43 candeline) a un festival musicale a base di alcool e sesso occasionale dove la donna conosce il fascinoso Jack Qwnat (Patrick Dempsey), star di una televisione commerciale. I due passano una focosa notte di sesso. Ma il weekend successivo, Bridget va a un battesimo dove incontra di nuovo Darcy, reduce da un sofferto divorzio. Da lì, alla notte di fuoco il passo è breve. Poco tempo dopo, Miss Jones si scopre incinta. Ma chi è il padre: Mark o Jack? Saputa la notizia, i due uomini decidono di stare accanto (ognuno a suo modo) a Bridget. Fino alla nascita del bebè e al responso sulla paternità. 

Facciamo un po’ di conti. La prima volta che il pubblico delle platee cinematografiche ha conosciuto Bridget aveva 32 anni, nel secondo film, Che pasticcio… Bridget Jones! ne aveva 34, questa volta vediamo la bionda eroina festeggiarne 43 con tanto di torta piena zeppa di candeline. Molte cose sono cambiate ma l’imbarazzo di Bridget è sempre lo stesso. Soprattutto, la bionda eroina resta forzatamente single. Ergo, i suoi problemi sono gli stessi di sempre (anche se ora si sforza di tenersi un po’ più lontana da alcool, fumo e junk food).
La nuova Bridget Jones è definita dalla sua amica Miranda, una ‘SPILF’ (‘Spinser I’d Like to F..k’ cioè ‘zitella che mi farei’), una donna senza figli e che lavora senza sosta. Ma le sue aspirazioni contrastanti e le sue insicurezze sono immutate: è proprio questo il segreto del suo successo. Miss Jones ha avuto così tanta presa sul pubblico perché ha le stesse sofferenze di tutti, soprattutto nella sfera privata, e al tempo stesso è una donna unica e simpaticamente stravagante. Bridget è diventata una figura a suo modo ‘archetipica’, una in cui milioni di donne continuano a riconoscersi, tra sogni infranti di principi azzurri mai arrivati e il peso degli anni che passano inesorabilmente.
I desideri di Bridget sono sempre quelli: romanticismo e bambini, soprattutto ora, perché lei non ha mai dimenticato il ‘suo’ Marc Darcy. Già Darcy, proprio lui, con tutta la sua permalosità, superbia e intelligenza: eccolo di nuovo, incarnato dallo stesso indimenticabile interprete del Darcy di Orgoglio e pregiudizio della BBC del 1995 (un ruolo che aveva reso famoso un giovane Colin Firth), come in un gioco di specchi. Accanto a lui, ecco l’altro uomo, Jack Qwnat, colui che ha acquistato fama e successo perché ha trovato l’algoritmo dell’amore! A vestirne i panni è l’americano Patrick (Grey’s Anatomy) Dempsey che ha rimpiazzato Hugh Grant nel triangolo con l’eterno Mr. Darcy. Questa volta però il triangolo si colorerà di tinte diverse, sfumando perfino nella collaborazione (dagli esilaranti esiti).
Molte sono le felici trovate di questo Bridget Jones’s Baby, merito di una sceneggiatura opera di una squadra che vede, accanto alla scrittrice Helen Fielding (colei che ha ideato Bridget e il suo mondo prendendo lo spunto dal citato romanzo “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen), il talentuoso Dan Mazer (l’inventore di Borat) e l’attrice Emma Thompson (che ha anche ritagliato per sé il ruolo della dottoressa Rawlings, ginecologa di Bridget). Ed ecco alcune situazioni (come la causa che sta curando l’avvocato Darcy in difesa di un gruppo di femministe russe) e alcuni personaggi (la nuova giovane ‘capa’ di Bridget e i suoi assistenti con ‘barbe ironiche’) che strappano più di qualche risata.
Dietro alla macchina da presa segnaliamo il gradito ritorno di Sharon Maguire, regista del primo fortunato film che questa volta ha avuto il merito di sfrondare il personaggio dalla sua pericolosa deriva da ‘cartoon’ eliminando gli eccessi delle smorfie e dei troppi capitomboli (il ‘volo’ questa volta è uno solo, e avviene in una provvidenziale pozzanghera di fango).
Forte, fortissimamente Bridget è sempre lei, l’americana Renée Zellweger, ancora una volta campionessa di ‘faccette’, camminate a gambe larghe, vizi masochistici e gaffes. 
I dodici anni di assenza dal grande schermo hanno portato a Bridget una manciata in più di ironia e di battute aggiornate al nuovo scenario sociale, il tutto condito da musiche ‘da urlo’ (con la partecipazione speciale di Ed Sheeran). Il risultato è un film frizzante su una donna normalmente imperfetta (contesa da due ‘veri’ gentiluomini) che continua a piacere proprio per questo. Per questo motivo, se la ricetta è stata finora perfetta perché mai cambiarla?

Elena Bartoni
 

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