Brimstone – Recensione – Venezia 73
Una storia di resistenza contro la crudeltà di un inferno terrestre, la lotta per la sopravvivenza e il trionfo del genere femminile, Brimstone è questo e molto di più. La pellicola, in Concorso alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia del regista olandese Martin Koolhoven, è un ottimo western mescolato al thriller, ricco di colpi di scena e drammaticità.
Liz (Dakota Fanning), è la protagonista, una bellezza selvaggia con un cuore sensibile e un animo irruento. L’antieroe che la perseguita è Preacher (Guy Pearce), un predicatore fanatico vendicativo e diabolico. Liz è una sopravvissuta, un cuore puro, ma non una vittima, è una donna capace di sprigionare una forza terribile, che risponde con coraggio alla voglia di una vita che, sia lei che la figlioletta, meritano di vivere.
Brimstone, il western al femminile nato dalla penna dello stesso regista, si intuisce fin da subito, è un film che oltre alla sua religiosità e al suo fanatismo, nasconde in sé una storia di sofferenza, coraggio e amore.
Strutturato secondo una costruzione a capitoli, palesemente ispirato alla Bibbia, Brimstone è una parabola di nascita, crescita e ricrescita della protagonista. Liz, come si apprende nel primo capitolo, è muta, sposata con un uomo più grande di lei e con due figli; l’Apocalisse rappresenta l’ouverture di questa sinfonia infernale.
È però il mescolarsi fra presente e passato, vivo nel secondo capitolo, l’Esodo, a dipanare la storia in tutta la sua crudeltà. Ed è così che conosciamo la piccola Liz, che ha dovuto scappare dalla morsa di un padre padrone e cavarsela da sola.
La forza d’animo, la determinazione e la sfrontatezza davanti al pericolo, fanno della protagonista la perfetta eroina del film. Un western crudo che non riesce a fare a meno della violenza e del sangue, atipico per il genere, ma ben dosato.
Koolhoven, grazie anche alle splendide interpretazioni del trio Guy Pearce – Dakota Fanning ed Emilia Jones, riesce ad innalzare il livello della pellicola, che diventa tosta e drammatica al punto giusto.
La religione è presente nella sua forma più estrema, ma si va oltre, spaziando all’amore, ciò che il predicatore alla fine confessa di ricercare da sempre, quello terreno di una donna, prima della moglie e poi della figlia.
La prova del regista olandese è potente, impossibile non venire rapiti dalla narrazione, dai colpi di scena e dalle meravigliose interpretazioni, per un film che non piacerà a tutti, ma che pur sempre si rivela prova di buon cinema.
Alice Bianco