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Captain Phillips – Attacco in mare aperto – Recensione

Prendendo spunto e raccontando come aveva già fatto con United 93 (2006) l’America e il terrorismo, il regista di due dei film appartenenti alla fortunata serie dell’agente Bourne (The Bourne Supremacy nel 2004 e The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo nel 2007), Paul Greengrass, approda sugli schermi con una storia-avventura anch’essa realmente accaduta, che tra le onde dell’oceano e il terrore che si annida proprio tra di esse, fa emergere un racconto di vita, carico di tensione e forti emozioni.

Nel 2009 il capitano Richard Phillips (Tom Hanks) lascia la sua famiglia nel Vermont per andare a guidare la nave USA Maersk Alabama, dall’altra parte del mondo, più precisamente in Somalia, per portare aiuti umanitari alle popolazioni più povere. In acque extraterritoriali, la nave carica di container viene però attaccata da alcuni pirati somali, guidata da Muse (Barkhad Abdi), che armati e pronti a tutto, rapiscono Philips, in cerca di riscatto.

Due capitani, due uomini al comando, ma un’unica volontà, quella di sopravvivere e mantenere in vita l’altro, il nemico, così come i propri “marinai”. Muse e Richard Phillips, sebbene abbiano origini diverse, si assomigliano; uno è giovane e nonostante sia alla guida di un gruppo di pirati è poco esperto e lavora al soldo di un signore della guerra locale, Phillips invece è uno stimato comandante della marina americana, che ha come missione quella di portare rifornimenti alle popolazioni africane.

Entrambi al servizio di una potenza nazionale, con due modi diversi di vivere, di comandare così come un’intelligenza e un’astuzia anch’esse differenti, i due trovandosi faccia a faccia si accorgono di poter imparare l’uno dall’altro, o meglio, Phillips conosce le travagliate condizioni di vita di questi pirati alle prime armi, i sogni e le ambizioni di un giovane come Muse, quest’ultimo invece, grazie ai suggerimenti del capitano americano, fidandosi di lui, proverà ad affermare il proprio ruolo di comandante tra i ribelli del gruppo.

Il tutto viene raccontato da una regia e sceneggiatura che sembrano rivelarsi quasi onniscienti. Greengrass, così come Billy Ray e lo stesso Richard Philllips in persona, riescono a bilanciare la narrazione, propendendo per un racconto mirato alla visione d’insieme, permettendo allo spettatore di decidere se schierarsi e se sì, con chi.

L’imposizione del comparto narrativo e registico, dimostrato attraverso l’uso della macchina a mano, abile nel riprendere con abilità e con inquadrature movimentate i protagonisti da vicino, carica il film di una tensione ed adrenalina respirabili sin dalle prime scene, quando si sa per certo che da un momento all’altro scoppierà la “bomba”.

Soffocante ed angusta, la scialuppa di salvataggio nella quale si ritroveranno a navigare Muse e Phillips, ben si presta come oggetto scenico per aumentare proprio questa sensazione di claustrofobia, pericolo e tensione, che raggiunge il suo apice ed esplode (quella di Hanks e dello spettatore stesso) quando Phillips da un ultimo saluto ai familiari e shockkato dalla tragica fine si abbandona ad un pianto liberatorio.

Equilibrato, carico di tensione e con un ritmo serrato, Capitan Phillips – Attacco in mare aperto, è una grande sorpresa ed un possibile e meritato candidato ai prossimi Oscar 2014.

Alice Bianco

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