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C’est la vie – Prendila come viene – Recensione
Una ventata di leggerezza soffia sulla Festa del Cinema di Roma con la presentazione di C’est la vie, ultimo lavoro firmato dall’ormai premiata ditta Toledano-Nakache, già autori nel 2011 del planetario successo di Quasi amici.
Dopo l’ambizioso Samba del 2014, questa volta il duo di registi francesi vira verso il puro divertimento concentrandosi su un lungo banchetto nuziale.
Le nozze sono quelle di Pierre ed Elena, che hanno scelto come location per il loro ricevimento un fastoso castello del sedicesimo secolo vicino Fontainebleau. L’intera organizzazione dell’evento è affidata a Max (Jean-Pierre Bacri), navigato wedding planner. Max e il suo team sono i migliori nel loro campo ma in questa occasione molti di loro combineranno un po’ di pasticci: dal cantante-istrione un po’ demodé James (Gilles Lellouche), al fotografo amante del buffet Guy (Jean-Paul Rouve), da Adèle (Eye Haidara) inflessibile (ma poi non tanto) braccio destro di Max, fino a Samy (Alban Ivanov) cameriere che lavora ‘in nero’ e Julien (Vincent Macaigne), valletto fissato con il ‘bel parlare’.
Niente andrà come previsto e una serie di ‘incidenti’ minacceranno la riuscita della festa: dalla carne di tacchino andata a male, ai fusibili che saltano, a un volo imprevisto dello sposo dentro un’enorme bolla.
Cinema e matrimonio vanno di nuovo a braccetto ma questa volta l’esito non è scontato e lo sguardo originale. Eric Toledano e Olivier Nakache scelgono l’unità di tempo e di luogo per raccontare il loro banchetto nuziale, perché in fondo un matrimonio è simile a una rappresentazione teatrale: ci sono il pubblico, i costumi, i ruoli da interpretare.
Illustri sono le fonti d’ispirazione citate dagli stessi registi: la versatilità della location unica è stata ispirata a La regola del gioco di Jean Renoir e Hollywood Party di Blake Edwards. A detta dei registi, la location è quasi uno specchio delle loro professioni. Si avverte la sensazione che si stia effettivamente parlando di cinema in C’est la vie: lo stesso tipo di ‘frenesia da formicaio’ che si avverte quando si gira un film agita i protagonisti-attori del banchetto nuziale, che qui appare come metafora dell’effimero del mondo dello spettacolo. Anche nel cinema, ha affermato Eric Toledano (presente sul red carpet romano) ci sono molte persone dietro le quinte che lavorano alla riuscita delle riprese. La regola aurea dell’unità di luogo e di tempo richiama gli inizi della carriera dei due registi, in particolare il film Primi amori, primi vizi, primi baci, commedia corale ambientata in una colonia estiva con un ‘regista’ che si trova ad orchestrare un gruppo di animatori.
Questa volta il perfetto direttore d’orchestra è un grande Jean-Pierre Bacri, intento a correre di qua è di là a mettere le toppe sugli incidenti di percorso. E tra le divertenti riletture dei brani di Eros Ramazzottti “Se bastasse una sola canzone” e “Lovely Day” di Bill Withers eseguite da un Gilles Lellouche davvero in parte e un volo notturno dentro una grande bolla, il film decolla scongiurando il rischio di un’impronta troppo teatrale per una pellicola ambientata in un’unica serata e in un solo luogo. Ma la grandezza della location, con un numero cospicuo di stanze diverse, offre tante opportunità di movimento alla perfetta squadra di attori.
Commedia leggera e originale, C’est la vie (sottotitolo italiano Prendila come viene) vola via lieve e spassosa per quasi due ore accompagnata dalle note jazz di Avishai Cohen. Il film è stato scritto nel 2015, annus horribilis per la Francia, e, a detta degli stessi autori, esprime in modo chiaro un quesito: come possiamo preservare, nonostante tutto, il senso del divertimento?
Perché, al di là di tutto, la festa di un sontuoso banchetto nuziale può aiutarci a guardare con ottimismo alla leggerezza della vita, perché in fondo non è proprio questo, parafrasando il titolo originale del film, le sens de la fête?
Elena Bartoni