Che strano chiamarsi Federico: Scola Racconta Fellini – Recensione
Nel parlare di “Che strano chiamarsi Federico: Scola Racconta Fellini” come il film più bello di questa 70esima Mostra del Cinema di Venezia, non si esagera. Il grande maestro italiano, infatti, regala al pubblico un omaggio di cuore al suo più grande amico, portando qualcosa che si trova a metà strada tra il biopic filmico e il documentario con immagini di repertorio.
Un tramonto e la sagoma di Fellini di spalle seduto sulla sua sedia da regista che osserva il tramonto, mentre pian piano sfilano davanti a lui alcuni dei personaggi del suo immaginario. Entra un narratore e degli attori non professionisti prendono le sembianze di un giovane Federico (e poi anche di Scola stesso) iniziando a raccontarci gli inizi del grande cineasta attraverso una vera e propria riproduzione di quello che è accaduto.
Così comincia questo docu-film e già conquista il pubblico attraverso un ritmo incalzante, battute taglianti e momenti emozionanti che, non potendo essere riprodotti, vengono mostrati attraverso immagini di repertorio.
Ettore Scola fa qualcosa che ancora non si era visto evitando di essere al 100% documentarista, ma dividendosi tra la libertà che fare un film “basato” su eventi reali può dare.
Ci si affida agli attori e al bianco e nero per ricreare un immaginario irriproducibile, ma che con Scola si avvicina tantissimo alla realtà. Il regista apre il suo cuore e ci regala le sue emozioni, quelle personali, quei momenti vissuti con un amico di sempre che ha cambiato la sua esistenza rendendola, sicuramente, più ricca. Qui, infatti, non si vuole raccontare solo la vita di Fellini, anzi, qui l’importante diventa il loro rapporto e come esso sia stato fondamentale per la crescita delle loro carriere.
Dai loro viaggi in macchina in una Roma notturna e teatrale, popolata da quelle stesse strane figure che poi saranno i personaggi memorabili delle pellicole del maestro di Rimini, fino ai momenti da bar, Scola costruisce il suo personale “Amarcord” evitando di essere didascalico e puntando tutto sulla realtà, l’ironia e le vita vera, quella che scatena le emozioni più profonde.
Ma c’è anche una sottesa riflessione sul cinema come arte e sulla sua potenza (o anche debolezza) di prendere la realtà, scomporla, per poi ricomporla creando qualcosa che a volte è lontanissimo dalla realtà, e a volte gli si avvicina tantissimo.
Scola non vuole fare il maestro che insegna ai suoi spettatori-studenti la vita di un grande del cinema come Fellini, ma vuole condividere con il proprio pubblico il suo regalo ad un caro amico, riportando in vita personaggi che si sono, purtroppo, dimenticati sulle videoteche o nei libri di cinema, ma che qui si trasformano da cellulosa e celluloide in carne ed ossa.
Onesto ed emozionato, questo docu-film è qualcosa che si staglia al di sopra di ogni genere, grazie alle incursioni del narratore che non vive come voce fuori campo, ma come personaggio che interagisce con le scenografie e che porta lo spettatore a contatto con un periodo del cinema italiano indimenticabile.
Sara Prian