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Cowboys & Aliens – recensione

Sorpresa! Ruvide facce da cowboys nascoste sotto i cappellacci di sempre e con le solite pistole infilate nelle fondine scorrazzano tra praterie e canyon  del desolato West americano e si trovano a combattere con immonde creature aliene piombate sulla terra a bordo di velocissime astronavi. Stropicciatevi meglio gli occhi e scoprirete che state davvero assistendo a uno spettacolo bizzarro e senza dubbio accattivante. Almeno nelle intenzioni chi lo ha realizzato.
Ma andiamo per ordine. New Mexico 1875. Uno straniero senza memoria (Daniel Craig) arriva nella cittadina di Absolution. Al polso porta uno strano bracciale metallico. Ben presto l’uomo si accorge che gli abitanti non sono disponibili ad accogliere gli stranieri perché vivono sotto il pugno di ferro del Colonnello Dolarhyde (Harrison Ford). Ma la città sta per vivere un terrore ben più grande quando viene attaccata da astronavi aliene che, piombando dal cielo, rapiscono alcuni cittadini. Lo straniero è forse la loro unica speranza di salvezza. L’uomo inizia a ricordare il suo passato scoprendo chi è e cosa ha vissuto. Ora quel bracciale che indossa sembra essere l’unica arma che può combattere le forze aliene. E così Dolarhyde deve unire le proprie forze con quelle dello straniero. I due, con l’aiuto della misteriosa Ella, formano una squadra composta da persone fino a poco prima ostili tra loro in nome della sopravvivenza comune.
Gli “opening shots” non ingannino, anche se un cowboy ferito giunge in un polveroso villaggio del New Mexico dove non mancano pistole, cavalli e saloon, non siamo dalle parti del western ‘duro e puro’. Il mito del West del diciannovesimo secolo è destinato a incontrare la fantascienza del terzo millennio in un originale scontro terreno/ultraterreno. Due pilastri del cinema di genere però non si fondono ma più semplicemente coesistono. Così come si trovano a braccetto due eroi-simbolo dell’immaginario cinematografico, 007 e Indiana Jones.
Adattamento dell’omonima graphic novel di Scott Mitchell Rosenberg, Cowboys & Aliens è diretto da Jon Favreau che ha all’attivo i due Iron Man. Ma il grosso è la sua squadra. Quando hai cinque sceneggiatori, uno gruppo di produttori che include Ron Howard e Brian Grazer, un team di produttori esecutivi che annovera nomi come Steven Spielberg (che per ispirare la squadra ha organizzato una visione della versione rimasterizzata di Sentieri selvaggi) e Randy Greenberg (uno dei migliori cervelli del marketing strategico e della distribuzione nel mondo dello spettacolo), hai le spalle coperte e grandi mezzi assicurati. Puoi permetterti di fare ‘intrattenimento’ puro, cercando il grande pubblico che si mette in fila al botteghino. Perché il fine è chiaro, furbescamente economico e poco artistico. Questa volta si è cercato di colpire con l’effetto novità di un pastiche eterogeneo che mescola i simboli del vecchio West (un villaggio con il suo saloon, il suo sceriffo, il suo Pastore, un tirannico proprietario terriero che lo comanda, uno stregone indiano e le sue credenze magiche) con suggestioni sci-fi a metà strada tra Alien e Predator.
E lo spettacolo è servito. Pistole e raggi laser, cavalli e astronavi, diligenze e strani bracciali metallici, bottiglie di whisky e carburanti spaziali, l’ocra dello sterminato West americano e l’azzurro della luce delle navi aliene, caldo e freddo, terra e cielo, fuoco e ghiaccio, luce e buio, lealtà e inganno, amicizia e odio, estremi che si toccano e si fondono. Il risultato è visivamente affascinante, per la fotografia che gioca su efficaci contrasti cromatici generati da due mondi distanti, per gli effetti speciali, per il fascino dei divi protagonisti. E se Daniel Craig e Harrison Ford non vi bastano, aggiungetevi pure il bellissimo volto dell’ astro emergente Olivia Wilde.
Ma il giochetto sembra funzionare fino a un certo punto, poi si perde il senso dell’orientamento. Non si capisce se un Indiana Jones un po’ invecchiato è  “alla ricerca dell’ oro perduto” o se l’eroico Ian Solo di Guerre stellari è sceso dall’astronave Millennium Falcon e ha indossato abiti da cowboy oppure se James Bond si è ritrovato a fare un viaggetto a ritroso nel tempo. 
La ‘frontiera’ è una terra dura, luogo per eroi solitari, ma ora Indiani Apaches  (i guerrieri Chiricahua) e cowboys devono unire le loro forze perché gli alieni (visti con occhio ottocentesco come “demoni”) non sono più buoni come E.T. e dominano ostilità e paura. Di cosa si tratta? Sono gli Stati Uniti che hanno paura e rispondono spettacolarizzando il loro timore? E’ un modo per esorcizzarlo? Unire le diversità e combattere uniti è la chiave? E’ insomma l’America di Obama che affronta le minacce “aliene” rispondendo “Yes, we can”?
Certo si potrà leggere il finale come una scontata apoteosi moralistica ‘made in USA’ ma ci potrà anche allungare sulla poltrona senza pensare e godersi solo lo spettacolo. A voi la scelta.

Elena Bartoni

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