Dallas Buyers Club – Recensione
Presentato nella selezione ufficiale dell’8° Festival di Roma in concorso, Dallas Buyers Club è innanzitutto una storia di coraggio interpretata da uno straordinario e inedito Matthew McConaughey dimagrito per questo film di circa 22 kg.
Il film racconta la vicenda di Ron, (McConaughey), elettricista e cowboy che nel 1985 vive una vita sregolata. Come un fulmine a ciel sereno, scopre di essere sieropositivo con una prognosi che lo condanna a soli 30 giorni di vita. Il giovane non accetta la sentenza di morte. La sua disperata ricerca di cure non autorizzate negli Stati Uniti lo spinge in Messico dove è possibile curarsi con terapie alternative. In terra messicana impara le procedure per alcuni trattamenti alternativi che comincia a esportare di contrabbando, andando contro i medici specializzati, compresa la sua terapista la dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner). Da sempre omofobo, Ron trova nel transessuale Rayon, malato di AIDS, un improbabile alleato. Rayon condivide con Ron un attaccamento disperato alla vita ma anche uno spirito imprenditoriale: per evitare sanzioni governative alla vendita non autorizzata di farmaci, i due fondano un “buyers club” un ufficio acquisti per cui i sieropositivi pagano quote mensili per avere accesso alle forniture di nuova acquisizione.
Il film parla di una storia vera, quella di Ron Woodroof, rider texano che divenne inconsapevolmente il simbolo della lotta per i diritti alla cura dei malati di AIDS. L’uomo, a cui nel 1985 erano stati dati soli 30 giorni di vita, morì sette anni dopo nel 1992. Un mese prima che morisse, lo sceneggiatore Craig Borten guidò da Los Angeles fino a Dallas perché voleva andare a conoscerlo e raccontare poi la sua storia in un film. Il fatto che poi ci siano voluti 20 anni per realizzare la pellicola, la cui sceneggiatura è stata più volte rielaborata da Borten con l’aiuto di Melisa Walack, la dice lunga sulla difficoltà del progetto.
La graduale conquista di una speranza in cure alternative passa attraverso avventure e situazioni che compongono alla messa a fuoco di un personaggio che scopriamo andare oltre all’immagine che ci viene restituita a inizio film. La scena di apertura, tutta sesso estremo, ci presenta il cowboy sboccato e cocainomane ma, subito dopo la scoperta della malattia, il film si immerge nel pieno clima della metà degli anni ’80, caratterizzato da paranoie e discriminazione verso i malati. Il tema forte che viene presto a galla è quello della denuncia dei vili interessi, volti solo al profitto, delle industrie farmaceutiche e delle istituzioni a queste collegate. Inizia così la discesa agli inferi del protagonista che va di pari passo con la lotta contro la Food and Drug Administration per la conquista a ciò che c’è di più sacro e inviolabile: il diritto alla libertà di cura. Ed ecco la trasformazione del protagonista McConaughey in un uomo diverso: l’elettricista e cowboy texano macho e donnaiolo che considerava l’AIDS “la malattia dei gay” cambia volto e anima venendo a contatto con un modo che prima ignorava, anzi, osteggiava. E, armato solo della sua forza di volontà e contro ogni previsione, non solo continua a vivere ma trova la forza di aiutare e salvare altre persone ammalate.
Pur essendo un forte atto d’accusa contro le case farmaceutiche colpevoli di pagare la FDA per far legalizzare farmaci non sempre di testata efficacia e spesso pieni di pesanti effetti collaterali, il film ha il suo punto di forza nel rapporto tra Ron e Rayon, una relazione che a mano a mano si fa speciale e intensa, fatta di generosità e altruismo. Un rapporto reso alla perfezione dai suoi due interpreti, il cowboy che non diviene mai santo McConaughey e lo splendido transessuale magnificamente interpretato dall’attore-musicista Jared Leto, leader dei Thirty Second to Mars.
Dallas Buyers Club è un film che emoziona, informa, intrattiene, indigna e lo fa senza sentimentalismi o inutili patetismi. Ci auguriamo che magari quest’anno la giura degli Oscar si accorga finalmente di un grandissimo McConaughey.
Elena Bartoni