Devil’s Knot – Fino a prova contraria – Recensione
Dopo il deludente Chloe, Atom Egoyan torna sui nostri schermi con una pellicola più pretenziosa e dall’argomento più forte, come questo Fino a prova contraria – Devil’s Knot, la storia vera dei tre bambini uccisi in maniera brutale negli USA. Sfortunatamente anche questa volta il film non riesce a convincere, risultando troppo lento per coinvolgere anche lì dove momenti di emozione ci sarebbero.
Nel 1993 tre giovani americani furono condannati per l’assassinio di tre bambini di 8 anni, in quello che fu descritto come un rito satanico. La sentenza fu subito molto discussa e si basò solamente sulla confessione di uno dei ragazzi, con però dei problemi mentali.
Quando il delitto assume aspetti che vanno al di là del loro reale accadimento è, il più delle volte, colpa dei media che pompano la vicenda colorandola di aspetti troppe volte fantasiosi. Devil’s Knot, infatti, ritorna sui fatti incresciosi di inizio anni Novanta, calcandone l’aspetto delle supposizioni e dei pregiudizi amplificati dai media e dal passaparola.
Se anche il film riesce con merito a portare rispetto verso tutte le persone coinvolte nei fatti, presunti assassini e vittime, Egoyan non riesce a dare ritmo alla vicenda che si trasforma di più in una sorta di esposizione dei fatti che in un thriller ispirato ai fatti realmente accaduti.
Il regista di origine canadese senza grandi picchi, diventa lui stesso un investigatore, trasformando il personaggio di Colin Firth, l’avvocato Ron Lax, nel suo alter ego sebbene esso non risulti poi uno dei personaggi principali della vicenda.
Il problema è che quello che ci trova davanti è una serie quasi illimitata di personalità a cui si fatica a stare dietro, dimenticandosi ben presto i nomi e trovandosi a chiedere di chi si stia parlando in quel determinano momento. Questo inficia sulla tensione che, se nelle scene iniziali strazianti si alza, perde man mano forza, non tanto per colpa della struttura narrativa, ma proprio perché noi poveri spettatori stiamo ancora cercando di capire i nomi e di chi si sta parlando.
Di riuscito c’è sicuramente il modo in cui Egoyan tratteggia il carattere del personaggio di Reese Whiterspoon, dosando qui si in maniera intelligente la disperazione, riuscendo nella costruzione empatica della madre che ha perso uno dei bambini.
Il ritmo lento che ti tiene sveglio solo perché si vuole sapere, come in ogni film di genere che si rispetti, chi siano i veri assassini, la staticità di molte scene, non rendono questo Devil’s Knot un’opera da ricordare se non nella capacità del regista di mettere insieme diversi punti di vista rimescolando le carte in gioco e cercando di dare una sua tesi a quei fatti che hanno scioccato l’America.
Sara Prian