Diario di un Maniaco Perbene – Recensione
Opera prima dell’ex assistente alla regia di Giovanni Veronesi, Michele Picchi che fa il suo esordio al cinema con una pellicola fantasiosa, sopra le righe, sognatrice, che, artisticamente ben costruita come un dipinto di Matisse, accompagna lo spettatore in una realtà personale malinconica e allo stesso tempo buffa, quella del pittore Lupo, interpretato con maestria da Giorgio Pasotti.
Lupo è un pittore in crisi, vive da solo in un loft, dal cui soffitto pende un cappio. Il problema di Lupo, oltre alla mancanza d’ispirazione, è l’attrazione che prova per ogni donna che incontra: vicine, amiche, conoscenti, ma soprattutto le novizie. Rischia sempre di innamorarsi, ma per lui, ciò rappresenta un pericolo, da evitare a tutti i costi perché, quando si innamora, diventa stupido.
Lupo ama l’universo femminile, contrariamente agli altri uomini infatti, sembra capire le donne perfettamente, tutte chiedono a lui consigli, si confidano, ma alla fine, finiscono per spezzargli il cuore. Il bistrattato intellettuale, non riesce a sbrogliarsi da questa matassa che lo ingarbuglia e proprio come il Guido di ‘’ 8 e ½’’ (Fellini, 1963), si ritrova in una crisi artistica e d’identità.
Le uniche donne con cui si sente a proprio agio sono la nipotina e la novizia di cui si invaghisce, due rappresentanti dell’universo femminile nella sua purezza, senza essere prorompenti, pazze o possessive. Maniaco solo in teoria, perché ossessionato e amante del genere femminile, Lupo finisce per essere un semplice voyeur, che affronta tutto da una prospettiva esterna (la sua ‘’Finestra sul cortile’’ ricorda anche Hithcock, con annesso mistero).
Racchiuso nel suo microcosmo personale, a volte sorprendente come Dalì, altre volte malinconico e cupo come Van Gogh, questo pittore fantasioso, costretto in spazi chiusi, fa partecipe solamente lo spettatore del suo vero Io. Dipinto come un Don Giovanni, altri non è che un timido corteggiatore, che non esce, ha pochi amici (quasi tutti virtuali) e a dir la verità, sembra che il cappio sia il suo unico ‘’vero’’ amico, con cui condivide la giornata.
Quella corda che pende dalle travi del suo loft, sembra infatti farsi simbolo della morte e rinascita morale, spirituale ed artistica, un elemento importante e chiarificatore, uno dei tanti particolari che il regista non ha lasciato al caso.
Dettagliate, artistiche e ben curate, la regia e la messa in scena del film, riescono a creare una composizione di grande valore, con un ’’one-man-show’’ (Pasotti) di straordinaria bravura, a metà tra il Brandon di ‘’Shame’’ (2011), ma in chiave decisamente più buffa ed un Chaplin/Charlot, con tanto di bastone di legno, che usa per i suoi divertenti siparietti, passando per impersonare un moderno ‘’vate’’, grazie alla voce fuori campo che accompagna lo spettatore nel suo microcosmo.
Film intimista, sgargiante come i colori delle tele di Lupo, surreale e straniante, Diario di un maniaco per bene, risulta essere un piccolo gioiellino del panorama del cinema indipendente italiano, una produzione degna di nota, che dimostra come queste nuove leve, siano quelle in grado di risollevare il cinema nostrano.
Alice Bianco