Diplomacy – Una notte per salvare Parigi – Recensione
Capita sempre più spesso di vedere come cinema e teatro siano due linguaggi capaci di contaminarsi a vicenda. Cinema nel teatro, teatro nel cinema oppure adattamento di una piéce teatrale. Diplomacy – Una notte per salvare Parigi, diretto da Volker Schlöndorff, utilizza tutte e tre queste tipologie regalandoci una bellissima operazione cinematografica, che sfrutta al meglio le sue origini teatrali.
Retto in maniera perfetta da Niels Arestrup e André Dussollier, la pellicola ci porta al 25 agosto del 1944, giorno in cui gli alleati stanno entrando a Parigi. L’alba deve accora affacciarsi sulla città e il generale tedesco Dietrich von Choltitz, governatore militare della città, deve eseguire gli ordini di Hitler, radendo completamente al suolo Parigi e posizionando le cariche esplosive sui simboli della capitale. Tutti sappiamo che ciò non accadde, ma quali furono le vere motivazioni che portarono von Choltitz a non eseguire gli ordini?
Il mondo sarebbe potuto cambiare per sempre, magari il Terzo Reich non avrebbe avuto un’altra possibilità, ma Parigi, come noi la conosciamo, probabilmente non sarebbe più esistita. Una storia che, a scuola, raramente ti raccontono e che Schlöndorff decide di presentarci traendo il suo ottimo film dall’opera teatrale di Cyril Gely, che ha anche aiutato nell’adattamento della piéce, con un assoluto controllo dei due mezzi, sia cinematografico che teatrale.
Diplomacy conosce le sue origini, ma se ne crea di nuove diventando un’opera puramente cinematografica, che vive di campi e contro-campi, ma anche di una camera mobile che esplora e non sta ferma, allontanandosi così dalla sensazione di vedere solamente un’operazione di teatro filmato.
Schlöndorff sa quello che fa e per questo motivo riesce a rendere coinvolgente la storia, con 80 minuti che ti tengono incollato allo schermo con intelligenza alternando vicende private e pubbliche, giocando con i meccanismi dei linguaggi (parlati, cinematografici, teatrali) e con quelli della Storia. Ed è proprio il gap storico, su cosa accadde quella notte e come fece Nordling a fermare von Choltitz, che il regista riesce a riempire portandoci al centro della Guerra, lì dove si sviluppò un duello con le armi più potenti: le parole.
Sara Prian