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Duzhan – Recensione

Dopo 1942 di Xiaogang Feng, arriva al Festival Internazionale del Film di Roma il secondo film a sorpresa presentato nella sezione Concorso: Duzhan del maestro del cinema hongkonghese Johnny To. I film di genere sono il vero e proprio cavallo di battaglia di un regista che ha saputo, in più di trent’anni di onorata carriera, rinnovare ed innovare il cinema e il suo linguaggio, costruendo ad ogni film una bibbia su come si scrive un testo e lo si mette in scena. Affiancato dal suo fedele “servitore” Wai Ka-fai, che ne firma anche questa volta la sceneggiatura, To torna agli albori della sua cinematografia regalandoci un nuovo ed esaltante gangster-movie.
 
Ming, cinico trafficante di droga, si schianta in auto contro un negozio dopo l’esplosione del suo laboratorio dove si fabbrica eroina. Si salva la vita, ma ha la moglie e il cognato bloccati dentro la fabbrica. Lei, funzionario di polizia intelligente e attento, prova a rintracciare gli altri criminali offrendo a Ming l’opportunità di ridurre la pena detentiva. Ming decide di aiutarlo, tradendo tutti i suoi fratelli, ma all’ultimo minuto… Un viaggio all’interno del labirinto di mafia e traffici illegali, il primo film cinese che osa parlare apertamente di droga.  
 
Gli innesti, tipici del suo cinema, dove il torbido mondo del traffico della droga e il genere poliziesco si mescolano con uno stile impeccabile, il film ha quei momenti di pura “follia” che intrattengono e divertono senza che si avanzino eccessive pretese di tipo introspettivo, lasciando tutti gli spettatori a bocca aperta per il colpo di scena finale.
 
Il tocco inequivocabile di un regista maturo e il fuoco sacro di un sempre verde, fanno di Duzhan uno dei più bei film visti in questo Festival.
 
Serena Guidoni
 

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