E’ arrivata mia figlia! – Recensione
Il cinema brasiliano a volta regala dei piccoli gioielli, peccato che spesso non arrivino a essere distribuiti nel nostro Paese. Fortunato è il caso di questo E’ arrivata mia figlia!, che approda nelle sale italiane anche trainato dagli importanti riconoscimenti ottenuti in campo internazionale. Quarto lungometraggio della regista Anna Muylaert (classe 1964), il film ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria assegnato alle due attrici protagoniste al Sundance Film Festival e ha vinto il premio del pubblico nella sezione ‘Panorama’ all’ultimo Festival di Berlino.
Un film sociale, cosi può essere definito E’ arrivata mia figlia!, una commedia sul sistema di regole sociali che ancora oggi è alla base della cultura brasiliana.
La storia è quella di Val, una governante a tempo pieno presso una facoltosa famiglia di San Paolo. La donna indossa un’impeccabile divisa bianca, cucina, serve a tavola, pulisce la grande villa con piscina e si prende cura con amore del figlio dei padroni di casa fin da quando era piccolo. Val ha cresciuto praticamente il ragazzo mentre ha affidato sua figlia Jessica alle cure e all’educazione di alcuni parenti nel nord del Brasile. Val ha sacrificato la sua vita al ruolo di governante e ora sta per riabbracciare la figlia dopo più di dieci anni. La ragazza infatti arriva in città per fare i test di ammissione alla facoltà di architettura (gli stessi test cui deve sottoporsi il figlio dei padroni di Val). Ma l’arrivo della giovane nella casa di Donna Barbara porta scompiglio nelle rigide regole di comportamento. Jessica è una giovane donna sicura di sé, fuori dagli schemi e incline al pensiero critico: la sua presenza porterà la madre a porsi una serie di domande cruciali sulla vita che ha condotto finora.
Porte, finestre, corridoi, luoghi vietati, rigidi confini, linee di demarcazione, il film della Muylaert si svolge su uno schema scenico quasi geometrico (quasi si trattasse di un palcoscenico teatrale) e poggia su una struttura drammatica quasi algebrica.
Tutto è codificato nel microcosmo in cui ha luogo la storia: gli spazi interdetti alla servitù (e in questo senso la porta della cucina è una vera linea di confine), le parole concesse alla governante (poche e solo dopo aver ottenuto il permesso), nessun dialogo alla pari insomma, nessuna concessione. Ma un ciclone che indossa le vesti di una giovane studentessa porterà un vento impetuoso capace di abbattere confini e barriere. Jessica vede il mondo con altri occhi rispetto alla madre, usa il corpo e le parole in maniera diversa. La ragazza chiacchiera in soggiorno con il padrone di casa, parla di libri e di architettura, non ha paura di esprimere il suo punto di vista, si rifiuta di dormire su un materasso a terra nella misera stanzetta della madre, chiede (e ottiene) di dormire nella bella stanza degli ospiti, pranza in salone con il padrone di casa (e mangia il gelato dalla scatola di proprietà esclusiva del figlio, mentre per la servitù esiste un altro gelato), fa il bagno in piscina.
Lo scossone provocato dalla ragazza ha un effetto-terremoto sulla vera protagonista, Val. La donna spalanca gli occhi sul mondo e sulla sua vita, quella che si apre davanti alla donna è una vera epifania.
Il ‘paradosso sociale’ fortemente presente in Brasile (e vero motore del film secondo la regista che ha iniziato a pensare alla sceneggiatura vent’anni fa, in concomitanza con la nascita del suo primo figlio) è quello dell’educazione dei figli che spesso vengono affidati alle cure di bambinaie, le quali a loro volta sono donne che devono affidare i propri figli a qualcun altro per potersi occupare di quelli dei loro datori di lavoro. Il personaggio di Val è un chiaro esempio di questo paradosso.
Cinematograficamente perfetto, il film è ambientato quasi totalmente tra le mura della bella villa della famiglia di San Paolo dove si gioca con inquadrature che letteralmente tagliano lo spazio domestico (il salone padronale del quale viene mostrata solo una piccola fetta attraverso lo sguardo della domestica dalla cucina) arrivando al climax attraverso una serie di conflitti innescati da una ragazza piena di forza di volontà, capace di opporsi alle vecchie convenzioni sociali separatiste, quasi un simbolo del Brasile moderno.
Fotografia di un Paese ancora pieno di contraddizioni e contrasti, ma che sta faticosamente percorrendo la strada comune a tanti Stati emergenti, il film, leggero e ironico quando basta, approda a un finale positivo e pacificante, opera della mano sensibile di una regista intelligente e talentuosa.
Merito da condividere certamente con la straordinaria protagonista, Regina Casé, attrice che vanta un lungo curriculum di esperienze televisive, teatrali e cinematografiche e che con questa pellicola trova probabilmente il ruolo della sua consacrazione.
Giocando con il titolo italiano del film, sarà sufficiente sostituire l’esclamativo con un interrogativo per arrivare a un giudizio sintetico. E’ arrivata mia figlia?… E per fortuna!
Elena Bartoni