Effetti collaterali – Recensione
Cadere in una spirale depressiva senza fine, disperata, avere la sensazione che tutto ti stia crollando addosso. Ecco il nodo, l’incapacità umana di gestire le proprie emozioni.
Subito un dato allarmante: il dieci per cento degli americani, dai sei anni in poi, consuma psicofarmaci. Chi glieli prescrive è davvero cosciente dei pesantissimi (e talvolta ancora sconosciuti) effetti collaterali? Nulla da dire, l’interrogativo drammatico da cui prende le mosse il film di Steven Soderbergh è di urgente attualità.
Il regista, avvezzo a tematiche importanti trattate con forte dose di critica sociale (pensiamo solo ai recenti Contagion e The Informant), affronta la materia con grande attenzione, coadiuvato ancora una volta dallo sceneggiatore Scott Z. Burns, che a sua volta si è avvalso della consulenza del dottor Sacha Bardey, ex vice-primario di Psichiatria Legale presso l’ospedale Bellevue.
La storia di Effetti collaterali prende l’avvio dal disagio mentale di Emily (Rooney Mara), moglie di Martin Taylor (Channing Tatum) ex operatore di Wall Street finito in carcere con l’accusa di “insider trading”. Per la donna, abituata a vivere nel lusso, attendere la liberazione del marito in un piccolo appartamento conducendo una vita diversa da quella precedente, è un duro colpo. Il rilascio di Martin dopo quattro anni si rivela però tanto devastante quanto la sua incarcerazione ed Emily sprofonda nella più cupa depressione. Dopo un tentativo di suicidio fallito, la donna è affidata allo psichiatra Jonathan Banks (Jude Law). Per evitare il ricovero in ospedale, Emily acconsente a un regime di terapia con antidepressivi. Ma il suo stato non migliora fino a quando Banks, su suggerimento della precedente psichiatra della donna, la dottoressa Siebert (Catherine Zeta-Jones), non le prescrive un nuovo psicofarmaco che sulle prime sembra funzionare. Ma gli effetti collaterali del preparato hanno conseguenze tragiche che culminano con un omicidio. Al dottor Banks, risucchiato da spirale di accuse, il compito di capire chi (o cosa) è stato il responsabile del crimine.
Al di là del fondo oscuro rappresentato dal tema ‘forte’ della mancanza di trasparenza nei rapporti tra i medici e le industrie farmaceutiche delle quali prescrivono i prodotti, Effetti collaterali mostra sulle prime di sapersi muovere bene anche grazie a una forma filmica perfettamente curata, fatta di inquadrature studiate e di una fotografia come al solito eccellente.
Ma il film di Soderbergh convince solo fino a un certo punto. Ancora una volta, ma forse anche di più del solito, il regista si dimostra perfetto nel denunciare vizi e nel porre quesiti cruciali ma di lasciar trasparire molte “falle” nel momento in cui si tratta di dare risposte. E dire che la prima parte del film è capace di rendere alla perfezione un clima di angoscia diffusa in cui l’attenzione dello spettatore è tenuta desta da uno svolgimento dei fatti che indubbiamente cattura. Ma poi, con lo scorrere degli eventi, qualcosa viene meno e il film si avvita su un plot costruito come un gioco di scatole cinesi alla scoperta di una verità che dovrebbe riservare sorprese ma che in realtà rivela una rete di inganni piuttosto scontata.
Buone le prove dei divi, Jude Law (già con Soderbergh in Contagion) convincente psichiatra che deve lottare usando anche mezzi illeciti per arrivare alla verità, Channing Tatum (alla terza volta con il regista dopo Knockout – Resa dei conti e Magic Mike) questa volta non solo muscoli, Catherine Zeta-Jones (anche lei già con Soderbergh in Traffic e Ocean’s Twelve) nei panni di una psichiatra con più di qualche segreto. Nota di merito a parte per Rooney Mara, per la prima volta alla corte del regista, capace di restituire alla perfezione i tormenti di una giovane donna psicologicamente labile (d’altronde la Lisbeth di Millennium – Uomini che odiano le donne rappresentava da sola un ottimo biglietto da visita).
Effetti collaterali potrebbe essere definito come una parabola nera che denuncia una società malata anche quando deve curare il male più diffuso, quello dell’anima, ma che finisce per scivolare nella tentazione del puro entertainment utilizzando un meccanismo da thriller-noir fatto di ripetuti colpi di scena. Peccato, perché se si fosse scelto di usare il mezzo cinematografico con maggiore coraggio ne sarebbe uscito un pesante atto d’accusa sulle conseguenze nefaste della scienza medica quando cade vittima dei meccanismi atroci e distruttivi di un capitalismo ormai in declino.
Anche se, nota a margine, Soderbergh ha tenuto a precisare che il suo film va più in là di un mero atto d’accusa al capitalismo perché tanti conflitti preesistono alla nascita del denaro e la volontà di conquista e dominio è parte della natura umana.
Già, la natura umana: fino a dove ci si può spingere davvero in nome del potere?
Elena Bartoni