Ema – Recensione – Venezia 76
Il regista sudamericano Pablo Larrain, dopo il biopic su Jackie Kennedy, ritorna al Lido di Venezia con un altro film al femminile: Ema. Un film che, durante la proiezione stampa ha diviso il pubblico. Chi lo trova troppo onirico, incomprensibile e costruito male, chi invece al contrario, l’ha elogiato. Io faccio parte del gruppo a cui non è piaciuto.
Ema (Mariana Di Girolamo), è una giovane ballerina, che decide di separarsi da Gastón (Gael García Bernal) dopo aver rinunciato a Polo, il figlio adottato che non sono mai stati in grado di crescere. Per le strade della città portuale di Valparaíso (Cile), la ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa, ma Ema ha anche un piano segreto per riprendersi tutto ciò che ha perduto.
Un’altra storia di donna, un dolore che le accomuna, ma una storia totalmente diversa. Ema vive, anzi, sembra quasi fluttuare, tra la danza e la ricerca dell’amore. La danza le permette di dimenticare il dolore e la colpa di non essere riuscita a dare al figlio adottivo, tutto ciò di cui aveva bisogno.
È l’amore ciò che manca a tutti i personaggi. Gastón perde quello di Ema, delusa e amareggiata dal marito, lei si innamora prima di una donna e poi di un altro uomo e in mezzo a tutto ciò c’è Polo, un ragazzino indifeso. Più che indifesa, Ema diventa il simbolo stesso della libertà, tra eccessi di droga e sesso, in un mix alquanto peccaminoso e sconclusionato.
Il tema predominante di questa edizione della Mostra del Cinema sembra essere il rapporto complicato genitori e figli e anche qui è ben presente. EMA è Gastón decidono di allontanare il bambino di sei anni che avevano adottato, Palo, il piccolo ha tentato di incendiare casa, ha deturpato il volto della sorella di Ema e altri guai simili. Lei cerca di superare in diversi modi il senso di colpa per non aver saputo gestire e crescere il bambino e accusa il marito di essere il responsabile di quanto accaduto.
La danza, il reggaeton per le strade della città con le amiche, l’andare a letto con donne e uomini, insomma usare il sesso come arma di potere è il modo per allontanarsi dalle costrizioni e dai sensi di colpa.
Certo, tutte cose giuste, i temi affrontati dal film sono importanti, è il modo in cui li ha raccontati Larraín a destare perplessità. Tutto è portato all’ennesima potenza, c’è troppa carne al fuoco e nonostante la durata, ben prima di arrivare al finale rivelatore, regna la confusione, tra scene di sesso e ritmi rimbombanti. Un film discutibile, che non mi ha fatto impazzire e considero, nonostante i temi affrontati, un po’ superficiale, regia a parte.
Sara Prian