Ender’s Game – Recensione
Da un acclamato e profetico romanzo (1985) di Orson Scott Card. L’umanità del futuro, in lotta con una razza aliena insettiforme, ne è uscita vittoriosa grazie all’impresa di un eroico soldato. Permane tuttavia il timore di una nuova invasione. Gli adulti selezionano perciò piccoli geni del pianeta Terra ed insegnano loro il combattimento attraverso simulazioni e giochi elettronici. Ender Wiggins, il più dotato, è inviato nello spazio alla Stazione di Guerra per addestrarsi e divenire un Leader della flotta Internazionale. Destinato palesemente ad un target di età molto giovane, limite evidente che si fa sentire fin dalla prima mezz’ora, è un apologo fantascientifico i cui molteplici contorni non escludono quello dell’ambiguità. Vengono presi di mira il militarismo, l’obbedienza cieca, la negazione della libertà individuale, l’odio per il diverso, lasciando però intravedere in sottofondo la fascinazione verso valori come il senso del dovere ed il sacrificio in nome della specie. Sono quindi numerose le contraddizioni in questo racconto di crescita e di formazione, e poche le novità perché gran parte dei concetti è già stato espresso più volte sia al cinema sia sul piccolo schermo. Nulla di irreparabile se la messinscena fosse particolarmente eccitante e coinvolgente, ma purtroppo non lo è. A parte la generale freddezza simil-teutonica, il percorso di vita del protagonista procede a tappe tendendo fastidiosamente alla prolissità esplicativa ed alla ripetizione, come se lo scopo fosse di gonfiarne la durata. La regia difetta al tempo stesso di umiltà e di polso, illustra gli avvenimenti con correttezza senza mai lasciar vivere le passioni quanto basta per far scattare l’identificazione da parte degli spettatori. Persino la definitiva presa di coscienza di Ender non colpisce in profondità. Gelido fuori e dentro, fatti salvi il valore del comparto tecnico ed il mordente di alcune invenzioni. Ad una di esse, il videogame influenzato dalla mente e dalle esperienze del giocatore, dobbiamo sequenze animate che rappresentano i segmenti meglio diretti dell’intero prodotto. Sprecato il cast, a cominciare dalla promessa Asa Butterfield ormai divenuta conferma fino ad un Harrisord Ford ancora incisivo (sebbene il passare degli anni cominci a pesare sulle sue spalle) e ad un impassibile Ben Kingsley. Quando ci si rivolge ad un pubblico, specialmente se di ragazzi, il trasmettere messaggi ed il comunicare emozioni non vanno considerate due missioni incompatibili. Ender’s Game è un monito in questo senso.