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Esterno sera – Recensione

Una tragedia greca moderna trasferita in una Campania dark, lontanissima dai colori luminosi e da cartolina stereotipata con cui spesso viene rappresentata in tanto cinema commerciale, ecco in due parole Esterno sera, lungometraggio d’esordio di Barbara Rossi Prudente.
La storia che vi si racconta è quella di Alba, ragazza tormentata e sfuggente che tutte le notti rischia la vita correndo per scommessa fuori città in mezzo alle auto che sfrecciano a forte velocità. Le sue giornate trascorrono tra una famiglia in cui si sente fuori posto (soffrendo di un dialogo assente col padre Umberto) e uomini che non la rispettano. Finché, una sera, riceve la visita inaspettata di suo cugino Fabrizio che vive a Milano e che non vede da tanto tempo. Un treno notturno ha riportato il giovane da lei. I due erano legatissimi, poi le loro strade si erano divise e Alba lo aveva aspettato per anni. Dopo una prima diffidenza, il grande affetto rinasce ed evolve in un rapporto d’amore pericoloso che diventa l’ostacolo che impedisce a Fabrizio di svelare una pesante verità nascosta per anni.
Un segreto è tenuto nascosto dalla famiglia di Alba, i Malaspina, qualcosa che Fabrizio conosce e vorrebbe rivelare. Ma l’amore scompagina tutto fino a un tragico finale.
Una giovane donna e il suo difficile universo emotivo. Una famiglia vista come luogo in cui si annidano disagi e incomprensioni, precarietà e solitudine. Un terreno spinoso per un lungometraggio d’esordio.
Quello della protagonista Alba è un mondo scuro (come le sue notti, più intense dei suoi giorni) e inquieto, fatto di una quotidianità vissuta con comportamenti autodistruttivi e aggressivi, verso di sé e verso gli altri. Una frustrazione figlia di un contesto sociale duro e senza prospettive e di un malessere privato che racchiude il suo germe malato in una famiglia.
Tra i meriti della regista, una sceneggiatura ben scritta (vincitrice del Premio Solinas nel lontano 1999, diventata film dodici anni dopo e che vede la luce solo ora grazie al meritevole impegno della distribuzione Microcinema) e una regia attenta, “partecipata” e insieme distante dai suoi personaggi.
Nella sua spinta parossistica verso un tragico finale (suggellato da un’ultima inquadratura del gruppo degli attori che avanzano verso un ideale proscenio quasi a raccogliere l’applauso del pubblico), il film riesce a rappresentare una trasformazione radicale della protagonista giocando abilmente sulla presa di coscienza di una scomoda verità.
Un debutto da tenere d’occhio questo di Barbara Rossi Prudente, il cui valore aggiunto è rappresentato da un gruppo di attori da applauso, grandi professionisti provenienti dalla scuola teatrale partenopea. Al di là delle buone prove dei due giovani protagonisti, i fratelli Valentina ed Emilio Vacca, merita un applauso particolare il grande attore Salvatore Cantalupo (una carriera teatrale prestigiosa, spesso accanto al grande Toni Servillo, e partecipazioni cinematografiche importanti tra cui spicca Gomorra ancora accanto a Servillo) nei panni del padre della protagonista. Da segnalare anche un cameo di Ricky Tognazzi.
Un sud contemporaneo filmato con una fotografia dai toni scuri e pastosi dei tanti notturni, una Campania (il film è stato girato tra Caserta e Napoli) che a tratti può sembrare debitrice del cinema di Garrone (di cui la regista si è dichiarata aperta ammiratrice). Un territorio presentato (come in Gomorra) suddiviso in micro comunità, quasi tribali, in cui il tessuto urbano ed extraurbano viene maltrattato e trascurato, deprezzato al punto tale da poter essere efficacemente riassunto nel titolo del film (che risuona, non a caso, come l’intestazione-tipo di una sceneggiatura), Esterno sera.
In un’operazione per certi versi simile a Gomorra (pur nella grande diversità del tema rappresentato), il film non giudica e non chiede neanche troppe spiegazioni, ma prende atto, proprio nell’atto del vedere e del mostrare.
Esterno sera tocca corde sensibili, emoziona, scuote e inquieta, nel profondo. Un’opera diversa, particolare, coraggiosa, e soprattutto “sentita” nella mano e nell’occhio della sua regista, merce rara nell’attuale panorama cinematografico italiano.

Elena Bartoni
 

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