Everest – Recensione
Una lunga scalata verso una metà ben più alta dell’Everest e cioè il consenso del pubblico. Il film di Baltasar Kormakur però non riesce nella sua impresa.
Ispirato a fatti realmente accaduti, Everest racconta le tragiche vicende successe nel 1996 ad un gruppo di scalatori guidati dall’alpinista Rob Hall (Jason Clarke). Raggiunta la vetta più alta del mondo però, discendere non è così facile e in pochi riusciranno a ritornare al campo base.
La cima più difficile da raggiungere per il film del regista islandese risulta essere il favore del pubblico, soprattutto quello della critica, che in sala ha accolto il film con una certa freddezza. La preparazione alla scalata e l’inizio dell’ascesa rappresentano la parte più ostica della pellicola, superato questo ostacolo l’avventura prosegue più speditamente.
Tra la discesa e le conseguenti tragiche fini dei partecipanti al l’escursione, il ritmo e la tensione, sebbene non raggiungano mai l’apice, nella media, riescono nell’intento di mantenere l’attenzione.
Nonostante sia un film corale, Everest, è purtroppo governato dalla dispersione, dei personaggi e del montaggio. Ottimo quello sonoro, altrettanto non si può dire di quello video, troppo approssimativo e mal bilanciato, che fa perdere la cognizione del tempo e del luogo, con alcuni ruoli sacrificati rispetto ad altri.
A nulla servono però le brillanti interpretazioni, del protagonista Clarke in primis, un combattente, sebbene i personaggi siano un po’ tutti dei lottatori poco convinti (eccetto Brolin e Hawkes). Tra il cast femminile spiccano le interpretazioni toccanti di Keira Knightley ed Emil Watson, nonché la giovane stella nascente Elizabeth Debicki.
Da salvare del film è senza dubbio, oltre al cast, l’ottima regia di Kormakur: tra soggettive ad hoc ed inquadrature mozzafiato appositamente create per il 3D e per stupire lo spettatore. Pubblico che però viene deluso dalla poca empatia con le vicende narrate e i suoi protagonisti.
La grande delusione è infatti rappresentata dalla sceneggiatura scritta a quattro mani da William Nicholson e Simon Beaufoy, rispettivamente autori de Il Gladiatore il primo e The Millionaire, il secondo.
Everest nonostante i suoi paesaggi da cartolina, l’ottima fotografia oltre alla regia, finisce per essere però un’occasione mancata, che avrebbe potuto dare di più in termini di narrazione con una maggiore naturalezza nel complesso.
Alice Bianco