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Fill the void – Recensione

Concorso – 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Potrebbe sembrare scontata la pellicola della esordiente Rama Burshtein in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, che ci racconta le dinamiche dei matrimoni ebraici otodossi in Israele, ma il termine più appropriato per questa storia è semplice. La regista di origine ebraica, convertitasi poi alla componente più estrema della stessa religione, ovvero l’assidismo, ci mostra con estrema naturalezza quella che è la vita di una famiglia di Tel Aviv che subisce il grave lutto di una delle figlie, che muore di parto. Nonostante siano tutti sopraffatti dal dolore, devono comunque pensare ad una questione assai più importante: il genero, ormai rimasto vedovo, sta valutando l’eventualità di trasferirsi in Belgio per risposarsi e portare con se il bambino. La nonna non può permettere che ciò accada e decide di combinare un matrimonio lampo al giovane, l’unica incognita è, con chi farlo maritare? La risposta sembra più facile del previsto, era sotto i suoi occhi e non se ne era accorta, propone in sposa la sua seconda figlia poco più che diciottenne, instaurando in entrambi la famosa “pulce nell’orecchio” di un’idea paradossalmente assurda. Può la ragazza passare dal ruolo di zia a quello di madre con un uomo molto più grande di lei e per il quale non ha sentimenti? Alla giovane il fardello di dover riflettere su tutti questi interrogativi e, di doverlo fare presto, il tempo stringe.
Fill the Void è un film girato da una donna che parla delle donne, fortemente presente infatti, è il ruolo femminile, gli uomini sembrano essere delle pedine secondarie, fondamentali per determinate cose (come per esempio andare a parlare con il rabbino o la selezione della futura moglie), ma completamente estromessi dalla vita domestica. Li vediamo sfilare per le stanze come fantasmi di vecchi cavalieri erranti, mentre le donne muovono le fila della comunità. Una società complessa e radicata come quella ortodossa ebraica è molto difficile che venga esposta su grande schermo, soltanto pochi film precedenti si sono occupati del tema, quello che sorprende è come nel 2012 si viva ancora di matrimoni combinati e rigide istituzioni comunitarie e, di come ogni piccolo cambiamento all’interno può alterare l’equilibrio generale. Semplice e diretto, girato quasi completamente in un unico ambiente, (si passa dai salotti delle case, alla residenza del rabbino), quasi a voler ricreare una sensazione di intimità domestica, arricchita dal suono delle musiche popolari.

Sonia Serafini

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