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Freeheld – Recensione

Felicissima eccezione alla regola secondo cui la didascalia iniziale “da una storia vera” giustifichi dubbi sulla consistenza di quanto seguirà.  Come la detective Laurel e la più giovane Stacie, meccanico, si innamorarono e convissero da “coppia di fatto”. Colpita da un male incurabile, Laurel si trovò impossibilitata a passare a Stacie la propria pensione a causa di leggi inique. Lottò ed ottenne giustizia. Girato da Paul Sollett con tocco leggero e delicata discrezione, Freeheld è un’opera encomiabile nel rifuggere qualunque compiacimento sentimentale e forzatura melodrammatica.  Scrittura concisa e diretta, senza cedimenti ai gusti del vasto pubblico, e romanticismo sempre finalizzato ad una conoscenza dei personaggi che si tradurrà in commozione e partecipazione. Le sporadiche cadute nel semplicismo e nello schematismo, in particolare nel descrivere la colpevole ipocrisia della maggioranza eterosessuale, nascono dall’assenza di compromessi nell’esporre le problematiche e mai dall’indugiare su facili espedienti narrativi. Apprezzabile l’innesto non gratuito di ironia, necessario ad ammorbidire una tensione emotiva che altrimenti sarebbe complicata da digerire per lo spettatore medio (ne è l’emblema uno Steve Carrell in forma, fortemente caratterizzato ma distante dalla macchietta). Due splendide interpreti, misurate e coinvolgenti (la Moore si conferma tra le ultracinquantenni più smaglianti di Hollywood, esteticamente ed artisticamente), affiancate da un valido reparto maschile. Se non viene detto nulla di radicalmente nuovo sul tema dei diritti civili, sono però ribaditi concetti importanti in maniera netta, incisiva, sincera. Una pagina importante tanto nella storia del cinema omosessuale quanto nel filone del “cancer movie”, definizione quest’ultima che gli va comunque stretta.

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