French Connection – Recensione
Il giovane regista e sceneggiatore Cédric Jimenez arriva per la prima volta sui grandi schermi italiani con un film che grazie alla sua fotografia patinata in puro stile anni ’70, una chiarissima rivisitazione dei famosi polar francesi e una grande coppia di amici attori protagonisti, riesce a conquistare il pubblico attingendo direttamente alla realtà dei fatti, in un mix di pathos, azione e thriller ed uno stile quasi hollywoodiano.
Anni 70, è Marsiglia la capitale mondiale del traffico di eroina. A contrastarlo Pierre Michel (Jean Dujardin), un magistrato incorrotto e incorruttibile che dichiara guerra a Gaëtan Zampa (Gilles Lellouche), padrino indiscusso della French Connection, la rete mafiosa che gestisce il mercato della droga e la esporta. Zampa non si lascia intimidire muovendosi agilmente tra la Francia e gli States e seminando morte e vendetta. Dall’altra parte della barricata, Pierre Michel, con la moglie Jacqueline (Céline Sallette) apprensiva e turbata dai casi del marito. I timori di lei si concretizzarono il 21 ottobre 1981, quando Pierre Michel viene assassinato in strada.
Dalla trama il film potrebbe ricordare uno dei tanti made in Italy, ma lo stile del regista marsigliese differisce. Al centro della vicenda troviamo le classiche figure nostrane: il giudice incorruttibile e il padrino arricchitosi illegittimamente, ma l’intrigo, l’azione ed una narrazione che si allontana dalla pesantezza di certi biopic storici sociali italiani, permette di associarlo di più ad uno americano.
Traendo ispirazione dai noir francesi degli anni ‘40-’70, French Connection infatti, delle sue caratteristiche tipiche del genere ha ben poco. Dujardin-Lellouche, da poco visti in Italia in Gli infedeli, incarnano una nuova ma ennesima coppia antagonista, immersa in un preciso quadro sociale.
Una Marsiglia soleggiata ma allo stesso tempo macchiata dal buio degli affari sporchi della mafia, due caratteristiche associabili anche ai due personaggi: il magistrato che vuol far luce e il padrino rinchiuso nel suo regno degli affari illeciti. L’affascinante Dujardin riesce ad incorporare l’anima e l’eleganza del cinema polar, così come Gilles Lellouche, incisivo nella sua spregiudicatezza. A risaltare è anche l’interpretazione di Benoît Magimel ‘’il pazzo”, senza freni e fisicamente dirompente.
Qualcosa però manca, ed è essenzialmente la dimensione politica e storica nel film, che si sviluppa tutto in superficie senza mai indagare, i film italiani lo fanno troppo a volte ma in French Connection accade il contrario.
Due personaggi che parlano poco ma agiscono tanto e quel senso di fragilità che pervade il film, sono però dei buoni motivi per cui vale la pena di andare al cinema.
Alice Bianco