Gli Stagisti – Recensione
Con il sorriso si può affrontare qualsiasi cosa, basta essere in due. La mancanza della coppia Vince Vaughn – Owen Wilson si sentiva, e per fortuna è arrivato in Italia, anche prima del previsto, “Gli stagisti”, una delle migliori commedie degli ultimi anni.
Billy (Vince Vaughn) e Nick (Owen Wilson) sono due trai i venditori di orologi più bravi in circolazione. Quando la loro società fallisce, i due si ritroveranno a dover ricostruire la propria vita, scegliendo di partecipare ad uno stage per Google. Qui solo la squadra che si dimostrerà di più all’altezza riceverà un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Grazie ad una sceneggiatura furba, ma studiata nei minimi dettagli e scorrevole, il film di Shawn Levy strizza l’occhio al momento di crisi che tutti stiamo vivendo, ma lo fa nella maniera migliore attraverso l’ironia, rivolgendosi ad un ampio pubblico che va dai 20enni agli ultra 40enni.
Mette insieme un cast che oltre ai collaudati Vaughn (autore anche dello script) e Wilson, riunisce attori poco conosciuti al grande pubblico come il Dylan O’ Brien di “Teen Wolf” o Max Minghella, figlio dello scomparso regista o Josh Brener una sorta di mini Woody Allen nerd, creando così un solido ponte tra la vecchia generazione e la nuova.
Reinventarsi e sognare. Sono però i due verbi che accomunano i più anziani con i più giovani, perché la crisi colpisce indistintamente e se da una parte c’è da fare i conti con il sogno americano vissuto e poi distrutto, dall’altra, per i 20enni, c’è la certezza che quel sogno americano sia solo una leggenda, un mito per loro irraggiungibile. Unendo sapientemente più punti di vista come il cinismo della nuova generazione con le speranze del duo Billy-Nick, “Gli stagisti” riesce ad infondere coraggio a tutte quelle persone che hanno rinchiuso i loro sogni nel cassetto e gli invita a viverli con il sorriso sulla faccia, all’insegna del non è mai troppo tardi.
Non mancano poi le citazioni filmiche e telefilmiche che passano da “Flashdance” a “Game of Thrones”, fino a paragonare la gara tra stagisti una sorta di “Hunger Games”.
Si può pensare che per una commedia due ore siano eccessive, ma in questa tutto è calibrato al meglio, i passaggi sono scorrevoli ed ogni momento è necessario al fine di creare un legame tra lo spettatore e i protagonisti portandoli allo stesso piano del pubblico. Perché in ogni loro vicenda, dai rapporti d’amicizia, alle difficoltà nel lavoro e negli affetti, ci si può rivedere tutti, ma quello che Levy ha il coraggio di mostrare è come ogni ostacolo lo si possa prendere con un sorriso sincero. Lo stesso che “Gli stagisti” ti lascia impresso anche dopo la conclusione della pellicola.
Sara Prian